Dopo 28 anni il viaggio al contrario: gli italiani in Albania tra flat tax e niente welfare

VALONA – (Reportage da Il7 Magazine) Una notte in nave e intorno alle 7,30 si raggiunge Valona. Il piccolo traghetto è salpato alle 23 della sera prima dal porto di Brindisi. Per l’imbarco bisogna passare la dogana, l’Albania non è ancora in Europa. Un viaggio al contrario. Mentre a Brindisi solo due settimane fa si celebravano i 28 anni dell’esodo albanese in Italia, ora si racconta un’altra storia. Ad andare li ora sono gli italiani. Aprono fabbriche, negozi, ristoranti, call center. Valona è un cantiere aperto: un lungomare mare costeggiato da palme con una vasta spiaggia sabbiosa, una lunga pista ciclabile e poi palazzi alti con numerosi locali pubblici. Sulle ampie strade corrono auto di grossa cilindrata guidate da giovanissimi. Il tassista utilizza solo due parole per spiegare come mai ci sono tante Mercedes in giro: hashish e marijuana. Nel cuore della città invece ci sono ancora vecchie auto da rottamare e furgoni che sembrano aver fatto la guerra. Gli operai sono a lavoro sulla strada principale per il rifacimento del manto stradale. Si alternano edifici fatiscenti a palazzi tipici delle grandi città occidentali. Quasi tutti parlano l’italiano, gli albanesi sono accoglienti e disponibili, come se volessero ricambiare l’accoglienza ricevuta negli anni 90. E non fanno mistero di questo. Per gli italiani che vogliono fare impresa l’Albania si presenta come un paradiso. È il paese della flat tax, proprio come quella che la Lega ha proposto in Italia. Ma la convenienza per gli imprenditori non è solo nel regime fiscale applicato al reddito. I bassi costi del lavoro e la burocrazia inesistente fanno di questo paese l’Eldorado per le imprese. La flat tax, la tassa sul reddito familiare e sul profitto, qui prevede due aliquote: da 40mila euro a 100 mila euro si paga il 5 per cento, mentre da 100mila euro in su il 15 per cento fisso. Al di sotto dei 40mila non ci sono tasse. Ignazio Cardillo, è di Molfetta, da oltre 20 anni ha una fabbrica di tomaie a Valona. Nel suo stabilimento a tre piani in un quartiere della città lavorano 350 persone, realizzano la parte superiore delle scarpe per una nota marca. I dipendenti lavorano 8 ore al giorno, per la maggior parte donne e giovani. Prendono circa 230 euro al mese. Cardillo paga mensilmente 25mila euro di contributi per tutti e 350 operai, questo significa meno di dieci euro a testa. “Queste sono le aliquote qui”, spiega. Questo stabilimento gli costa 139mila euro al mese, tra stipendi, contributi, fitto, tasse, spedizioniere, materiale per la produzione e telefoni. “Sono venuto in Albania per convenienza – spiega l’imprenditore pugliese – facevo lo stesso lavoro in Italia, ho spostato tutto qui con manodopera albanese. La tassazione totale è al 25 per cento, in Italia siamo arrivati al 64 per cento. Lì io non vivevo più”.

In una settimana Cardillo ha ottenuto tutte le autorizzazioni. “La burocrazia è zero – aggiunge – qui vogliono il lavoro e non fanno molte storie”.  Di  lavoro in  Albania oggi ce n’è tanto, soprattutto nella grandi città. Ma la povertà resta, gli stipendi sono troppo bassi. “Con 230 euro al mese non si può vivere – spiega un operaio – i costi sono aumentati anche qui. Tutta la merce arriva da Grecia, Italia e Turchia con il pagamento del dazio alle dogane. Non è più come una volta”. In questo paese il welfare è inesistente, e gli stipendi dei dipendenti pubblici sono da  fame. “Se vai in ospedale ti rendi conto che siamo il terzo mondo”. Arthur ha 44 anni con sua moglie Ediola ha aperto un negozio di abbigliamento sulla via principale di Valona. Ediola arrivò a Brindisi nel 91 su uno dei grandi barconi, ha vissuto in Puglia per sei anni, a Taranto vivono ancora sua madre e suo padre. Poi è tornata in Albania. Acquistano la merce da vendere nei negozi all’ingrosso di Bari centro. Arthur racconta di una sanità pubblica inesistente, per curarsi è necessario avere i soldi ed andare nelle strutture private tutte straniere. Ci sono cliniche italiane, tedesche e di altri paesi. “I medici albanesi vanno via da qui – dice – quelli con più anni di anzianità prendono 400 euro al mese e non hanno neanche mezzi e strumenti per operare. Preferiscono andare in Germania o altrove. Gli ospedali non hanno più personale. Ora c’è una emigrazione di cervelli”. Questo lo sanno bene anche gli italiani, in pochissimi infatti si iscrivono all’Aire (anagrafe italiani residenti all’estero), con la registrazione si perde il diritto di assistenza sanitaria nel paese d’origine. “Gli italiani che ufficializzano il loro trasferimento sono pochissimi – spiega Nicoletta Borsari, capo cancelleria consolato Italia a Valona – normalmente mantengono la residenza in Italia così possono tornare per curarsi”. Insieme agli stipendi bassi ci sono le pensioni da fame. La mamma di Arthur ha lavorato per 41 anni come contabile e prende una pensione di 130 euro al mese. Non le bastano neanche per mangiare. Gli uffici del consolato italiano si trovano in un grande palazzo a vetrate che si affaccia sul lungomare, la vista è mozzafiato: la grande spiaggia e il mare blu. Si organizzano corsi, si intessono rapporti tra le due culture e si conoscono tutti gli italiani che bazzicano in città.

Tra questi c’è Lorenzo Lonoce, 38enne di San Marzano della provincia di Taranto. Da sei anni vive a Valona, è titolare di un’agenzia viaggi che organizza vacanze per italiani in Albania: “Qui si può fare impresa – dice – si può partire dal basso pagando pochissimo. Se sbagli puoi tornare a casa senza perdere nulla. Noi fatturiamo 200 mila euro al mese è paghiamo il 15 per cento di tasse. È un paese meraviglioso e anche molto sicuro”.

La nave per Brindisi riparte alle 14,30. Scomoda, piccola e piena di gente: ci sono camionisti, diverse famiglie, ma anche tanti brindisini che sono stati a Valona per la cura dei denti. Ma questa è un’altra storia.

Lucia Portolano

2 Commenti

  1. Nuova terra di conquista stato sociale 0, arricchimento oltraggioso da parte di imprenditori d’assalto; cosa si vuol di piü se cé crisi in italia perché non profittarne.Di emigrati Albanesi non li vuole nessuno dunque o si mangiano sta minestra oppure indovinate.Per gli imprenditori l’agent na pas dodores danno un pö di salario fanno sopravvivere l popolazione in loco, son quasi dei benefattori.Ditemi cosa ne é delle colle utilizzate per la fabbricazione delle scarpe ,sono innoque oppure sono le stesse che anni fa provocavano danni irreparabili alla salute di chi le manipolava.Comunque buon arricchimento é buona salute agli Albanesi.

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*