Dopo 7 anni mai realizzata la barriera arborea lungo il nastro del carbone

BRINDISI – (da IL7 Magazine) Avrebbero dovuto realizzare una barriera di eulicapto intorno al nastro trasportatore  che attraversa le campagne tra Brindisi e Cerano e che porta carbone sino alla centrale Enel Federico II, ma dopo 7 anni dall’accordo non è stata messa neanche una piantina. Intorno al nastro c’è il nulla e poi lunghe distese di campagne. Eppure la società elettrica ha liquidato al consorzio, che era stato incaricato per realizzazione, la metà delle somme pattuite. La barriere arborea che avrebbe dovuto abbattere l’impatto visivo dell’impianto non è mai stata creata.

 Il famoso accordo quadro firmato da Enel, Comune di Brindisi con l’allora  sindaco Mennitti, e da alcuni contadini proprietari dei terreni a ridosso del nastro trasportatore, a distanza di anni resta ancora incompleto.

Nel progetto era prevista la realizzazione di una barriera arboree profonda circa 20 metri e lunga quanto tutto il nastro ( circa 14 chilometri). La questione emerse dopo l’ordinanza del sindaco che vietava la coltivazione di quei terreni perché inquinati, ma non solo, le polveri di carbone che fuoriuscivano dal nastro avevano intaccato le colture vicine. Carbone sui carciofi, sull’uva e su tutto ciò che si trovava lungo 14 chilometri. L’accordo scritto nel 2010 fu firmato definitivamente nel 2011, ma non tutti i contadini accettarono. Alla base del protocollo c’era la rinuncia da parte dei proprietari terrieri di costituirsi parte civile nel processo contro Enel per le polveri di carbone. Il 60 per cento dei contadini firmò quell’atto in cambio di 6milioni di euro che la società energetica avrebbe dato per un progetto di riconversione dei terreni con coltivazioni non food e la realizzazione della barriera arborea. Per la barriera era stati stanziati 250mila euro e 50mila euro all’anno per 10 anni per la manutenzione.

Circa 50 contadini invece decisero di rinunciare all’accordo e si costituirono parte civile nel processo contro la società elettrica che  nell’ottobre 2016 è stata condannata in primo grado al risarcimento. Ora è in corso l’Appello.

Nell’accordo quadro la società ha voluto sottolineare di non essere responsabile dell’inquinamento dei terreni ma di aver deciso di indennizzare e di contribuire alla riconversione negli stessi sulla base anche dell’accordo di programma che allora era in corso tra Ministero dell’Ambiente e  Comune di Brindisi per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area inquinante che risultavano nel sito di interesse nazionale brindisino. Enel doveva partecipare alla transazione.

La parte in merito alla riconversione dei terreni con piantagioni non food è stata quasi tutta realizzata e sono stati pagati gli indennizzi agli agricoltori che attraverso il consorzio aderirono a quel protocollo. Enel ha pagato circa 9mila euro a ettaro. Da due anni ormai in queste aree vengono piantate graminacei utilizzati nell’impianto di biogas a Surbo. Resta invece disatteso il punto della realizzazione della barriera della quale si sarebbe dovuto occupare il consorzio costituito ad hoc per gestire i rapporti tra Enel e contadini. Nel 2012 fu costituito il consorzio Tancredi, con presidente Adriano Abate di Confagricoltura e l’avvocato Giovanni Brigante come vice presidente. Al consorzio è stata liquidata la metà delle somme per la realizzazione, circa 125mila euro, ma non è  ancora stato gettato neanche il seme di una piantina. Ma dal consorzio si difendono. “Nel frattempo – spiega Giovanni Brigante – non è vero che nulla è stato fatto. Il consorzio ha provveduto a ripulire l’area dai vecchi arbusti, ha bonificato ed ha condotto le attività preliminari per la piantumazione, avevamo anche ordinato le piantine ma poi l’iter si è bloccato perché era necessario realizzare un impianto di irrigazione di soccorso. Un problema che è subentrato successivamente”.

Enel ha affidato al consorzio l’appalto per la realizzazione della barriera nel 2015 per un contratto che durava tre anni, allo stato attuale il contratto è anche scaduto.

Ora la questione viene rimpallata da una parte all’altra: la società energetica sostiene che debba essere il consorzio a realizzare l’impianto di irrigazione perché in caso di mancate piogge le piante seccherebbero e l’intervento sarebbe inutile. Da parte sua invece il consorzio nella persona dell’avvocato Brigante scarica la colpa ad Enel e spiega di aver più volte sollecitato la società a provvedere alla costruzione dell’impianto di soccorso. “Esistono delle mail – sottolinea Brigante – in cui chiedo esplicitamente al dirigente che si stava occupando di questa vicenda di sollecitare la costruzione del canale d’irrigazione. Avevamo preso accordi con i dirigenti dell’epoca, era stato deciso  che il canale sarebbe stato fatto Enel in quanto c’erano delle evidenti difficoltà tecniche e c’era un aggravio dei costi”.

A quanto pare la vicenda si sarebbe arenata a maggio del 2017 quando alcuni dipendenti e dirigenti della centrale di Brindisi, che si erano occupati della gestione dei rapporti con il consorzio, sono finiti sotto inchiesta per un presunto giro di tangenti legati ad appalti alla Federico II. Da qualche mese le attività previste nel vecchio protocollo, stando a quello che dicono i responsabili del consorzio, sarebbe state riprese. Ma intanto resta il nodo dell’impianto idrico.

Lucia Portolano

(per Il7 Magazine)

 

1 Commento

  1. Ma non vi è passato per la testa che forse utilizzando piante autoctone l’irrigazione artificiale non è necessaria? E’ strano che sia sempre l’Enel
    a sbagliare tutto. Saluti. Antonio.

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