“Chiusura della centrale di Cerano entro il 2025: agire come nel ’96, andare oltre il ‘96”

INTERVENTO/ Con circa venti anni di ritardo la questione energetica brindisina riprende il suo giusto e, ci auguriamo, definitivo binario.

Ma la Convenzione del ’96 sugli assetti energetici brindisini recava in sé una “visione”, nasceva da un progetto di futuro, anche se essa fu subito frantumata dalle liberalizzazioni “alla cieca” di Bersani. Oggi invece è tutto “necessitato” dalla non più derogabile esigenza dei tempi, compendiata con la Strategia Energetica Nazionale, nella quale ovviamente la centrale di Brindisi riveste un’importanza fondamentale, per la significativa quantità di energia elettrica che storicamente ha fornito e continua a fornire al Paese.

Nel 1996 si assunse non solo una visione globale della condizione energetica e ambientale dell’area a rischio e si convenne con lo Stato ad una drastica riduzione del carbone, previa metanizzazione, e ad un assorbimento della forza lavoro, al netto dei pensionamenti e dei prepensionamenti previsti, nella stessa Enel di Cerano, ma ciò fu la base per un sottovalutato Protocollo Aggiuntivo che disegnava un assetto “più ecologico” dello futuro industriale brindisino, con la nuova occupazione qualificata che ne sarebbe derivata.

Oggi è programmata a Brindisi, nell’ambito di un piano di de carbonizzazione del parco elettrico italiano, la chiusura di una delle due centrali rimasta sul mercato –l’Enel di Cerano- entro il 2025, entro 8 anni, cioè quasi domani, con l’enorme platea di lavoratori dei quali farsi carico, da rioccupare.

Ho sempre ritenuto che la questione energetica brindisina, pur avendo io partecipato con passione alla definizione della Convenzione del ’96, non fosse una questione esclusivamente e squisitamente ambientale, ma che essa dovesse costituire il fulcro di una “riconversione ecologica dell’intera economia brindisina”, per cominciare ad uscire, come ammoniva a fare il Cerpem già allora, da quelle monoculture produttive che si erano storicamente affermate e che rendevano asfittico lo sviluppo economico del futuro.

Ma oggi non è il ’96. Oggi il rischio serissimo è che si giunga impreparati all’onda d’urto del venir men di un pezzo nevralgico, nel bene e/o nel male che lo si consideri, dell’industria e dell’economia brindisina.

Sono sacrosanti tanto le preoccupazione sindacali, tanto il desiderio degli ambientalisti di procedere ad una non impossibile accelerazione di una de carbonizzazione che si vuole entro il 2025 e non necessariamente nel 2025. E’ perciò assolutamente opportuno il pressante invito del sen. Tomaselli a progettare subito, da ora, il futuro del “dopo” Cerano, magari e auspicabilmente, perché no?!, con il contributo della stessa Enel.

Per la verità, in questi anni, c’è stata una significativa e importante interpellanza parlamentare ad opera dell’on. Elisa Mariano, inspiegabilmente e colpevolmente osteggiata dai più, con la quale non solo, come nel ’96, si erano riaccesi i riflettori a 360 gradi sulla questione energetica, ambientale e sanitaria brindisina nella sua globalità, ma cosa altrettanto e più importante, si era strappato a quel Governo –Ministro all’Ambiente, Orlando- la necessità di un tavolo inter istituzionale su e per Brindisi, perché si affrontasse l’insieme delle questioni poste già vent’anni addietro.

Occorrerebbe riprendere le mosse da lì, rilanciando da subito un’idea del genere, rivisitandone contenuti e finalità a più vasto raggio, in modo da comprendere il futuro della stessa economia industriale di questo territorio, partendo dall’industria energetica, compresa quella ormai inattiva da bonificare.

Occorrerebbe che il sistema politico brindisino, come nel ’96, con i suoi partiti (ripeto partiti!) e le sue istituzioni, assieme ai sindacati, alle associazioni datoriali e a quelle ambientaliste, in uno con il livello provinciale e regionale, operassero sinergicamente affinché si costituisca da subito un tavolo inter istituzionale permanente, per la definizione di un “progetto”, sperabilmente sulla base di un’autonoma vision territoriale, di rilancio qualitativo ed “ecologico” dell’industria e dell’economia brindisina, a seguito dell’annunciata, programmata e progressiva dismissione della centrale elettrica di Cerano. Se non si coglie questa occasione, analogamente come accade per Taranto, quando mai più?

Il prossimo quinquennio sarà decisivo per non giungere impreparati alla data limite del 2025. Il caso vuole che in primavera Brindisi vada al voto (ma anche San Pietro Vernotico e Torchiarolo, anch’esse dell’area a rischio). Credo che i partiti (ripeto, i partiti), ancor prima che alle candidature e alle alleanze, debbano pensare a come affrontare questo snodo decisivo, ma anche esaltante, dello sviluppo futuro del territorio, che sarà comunque diverso. La cosiddetta “qualità” che si vuole ad esso imprimere rispetto a quella subita (?) del passato non dipende anche da noi, forse soprattutto da noi?

Ernesto Musio

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