La Scu si riorganizza dal carcere nella pax mafiosa: 12 arresti

BRINDISI- Niente più bombe, esplosioni, omicidi eclatanti, la Scu in questi anni avrebbe operato comunque e in silenzio tra Brindisi, Tuturano e Mesagne. Un accordo, una pax mafiosa tra i due clan, che in realtà non si distinguono neanche più, ma gli affiliati si intrecciano tra loro: la frangia dei tuturanesi Buccarella-Rogoli- Campana, e quella dei mesagnesi Vitale-Pasimeni-Vicientino. Dopo l’indagine dei carabinieri del nucleo investigativo di Brindisi, coordinati dal colonello Alessandro Colella, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Lecce  pm Alberto Santacatterina e con l’attività di supporto della Procura di Brindisi con il pm Marco D’Agostino, questa mattina sono state arrestate 12 persone, 3 di queste già in carcere. Accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, alcuni degli indagati devono rispondere anche di cessione di sostanza stupefacente e contrabbando di sigarette, aggravati dal metodo mafioso. L’attività di indagine si è consumata tra ottobre e dicembre 2102.

Tutto parte dal ritrovamento del cadavere del giovane Antonio Santoro in un pozzo nelle campagne di Serranova, il ragazzo fu ammazzato con un colpo di arma da fuoco alla testa. I suoi assassini non hanno ancora un nome. Ma grazie a quell’indagine si è ricostruita un’altra storia: quella della Scu della terza generazione.

Il procuratore della Dda Cataldo Motta parla infatti di attività svolta da tre generazioni della Sacra corono unita. Insomma siamo ai nipoti.

In manette sono finiti   Damiano Bello, 31 anni Mesagne; Sandro Campana (fratello del boss Francesco campana)  39 anni Torre Santa Susanna difeso dall’avvocato Ladislao Massari; Gianpaolo Gravina, 23 anni Mesagne; Raffaele Gravina (già in carcere), 41 anni Mesagne; Diego Guttagliere (detto diegolino), 38 anni di Brindisi; Francesco Lazzaro ( detto bellu bellu o Checco o lu biondo, già detenuto), 32 anni Brindisi; Maddalena Miceli, 71 anni Oria; Angelo Ostuni, 66 anni Brindisi; Antonio Ostuni (già in carcere), 46 anni, Brindisi; Cristian Ostuni, 26 anni Brindisi (Antonio e Cristian Ostuni difesi dall’avvocato Albino Quarta); Teodoro Ostuni, 63 anni Brindisi; Pia Romano, 46 anni Mesagne.

Gli elementi raccolti nell’indagine, la ricostruzione di affiliazioni e rapporti sono stati poi confermati successivamentre tra il 2013 e 2014 dalle dichiarazioni dei tre pentiti mesagnesi: Ercole Penna (linu lu biondo) , Guarini e l’ultimo Francesco Gravina detto Gabibbo.

Ruolo determinante, anche questa volta, secondo gli investigatori, come sempre è accaduto nella storia della Sacra corona unita, quello delle donne, che facevano da tramite tra i carcerati e affiliati esterni. Ad avvallare la tesi diverse intercettazioni telefoniche. I clan erano alla ricerca di denaro per mantenere i tenuti e le loro famiglie.

E non si usavano messaggi criptati, ma chiari. Ci sarebbe un caso in cui, una delle arrestate Pia Romano va a trovare il marito in carcere  Raffaele Gravina, il quale l’avrebbe fatta “custode” di un messaggio da riferire ai ragazzi all’esterno di impegnarsi di più per trovare i soldi. Indicazioni poi su come gestire il traffico di stupefacenti o la vendita delle sigarette. Certo poca roba rispetto al  passato.

Insomma anche nel silenzio, e in una forma di armistizio tra i due clan la Scu nel brindisino continuava a sopravvivere a creare legami. E le nuove affiliazioni avvenivano anche in carcere. La terza generazione abbandona però i santini e patti di sangue, lo fa attraverso il passaggio di sigaretta che avviene con la regolarità nella giornata di sabato. Insomma un rito che sancisce il legame con il clan di appartenenza, con  il bene stare anche di quello che prima era il clan rivale. Gli investigatori citano il caso di Diego Ostuni che in carcere invita ad entrare nel gruppo Angelo Ostuni.

Nonostante la pax mafiosa  che  in qualche maniera rende più invisibile l’associazione criminale che non si evidenzia con fatti eclatanti, gli investigatori rompono le uova nel paniere.  “Questo dimostra- afferma Motta- che c’è attività sul territorio, e la Scu opera con tre generazioni. La situazione è allarmante.  L’associazione criminale che diventa in questa realtà come un’associazione benefica con la donazione di soldi e trova posto di lavoro, ottenendo il consenso sociale. Nella Scu, rispetto ad altre organizzazioni, un ruolo importante lo hanno le donne, che spesso fanno da tramite. La Scu ai tempi del suo fondatore Rogoli è nata in carcere, da sempre le donne hanno rivestito questo ruolo”.

Lucia Portolano

 

1 Commento

  1. A Mesagne, nel Salento, in Puglia1 e nell’Italia intera urgono trasfusioni di legalitá, di senso di giustizia e di rispetto reciproco tra le persone. Costruire e vivere tutti in una societá migliore di quella attuale si puó il nemico numero 1 da combattere é una cultura mafiosa che negli ultimi 20 anni è stata accettata dalla gente come unica soluzione ai problemi quotidiani. Gli effetti di questa accettazione sono stati arretratezza, disevoluzione, povertá, malcontento, degrado morale, tensione e attrito nei rapporti dei cittadini con le Istituzioni. La storia insegna che le comunitá di persone che progrediscono maggiormente sono quelle in cui esiste giustizia sociale al loro interno…Investire risorse in tal senso quindi per innescare lo sviluppo…in mancanza? un lento declino!

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