Giovanni, il più bel gay d’Italia, si racconta: “La diversità è la nostra più grande ricchezza”

BRINDISI- È bello. Ma questo, quando vinci un concorso di bellezza, è abbastanza scontato. Ha la testa sulle spalle, di questi tempi, già di per sé è una notizia. Ha le idee chiarissime e sa cosa vuole e qui ci cominciamo a muovere in terreni poco esplorati prima d’ora. Lui è Giovanni Licchello, 26enne nato a Ferrara e residente a Brindisi, ed è stato eletto lo scorso 1 settembre Mister Gay Italia, al Mamamia di Torre del Lago, in provincia di Lucca, dove annualmente si svolge il concorso di bellezza. Già dalle prime battute pronunciate con la corona in testa e con la fascia al petto, si è capito che Giovanni sa il fatto suo: un passato da calciatore a buoni livelli, in carriera ha anche militato nel Brindisi e nel Sion, serie A svizzera, e un presente da rappresentante di prodotti per studi dentistici, Giovanni ha la maturità giusta per dire la sua in un mondo che lo ha appena scoperto. «Questa corona e questa fascia rappresentano per me un’opportunità, un’occasione, ma non per raggiungere un successo personale ma per farmi promotore, attraverso la notorietà che mi sta giungendo con questo titolo, di una serie di messaggi positivi di cui la società, purtroppo, ancora oggi, ha estremo bisogno. Nel concreto, in realtà, per me non cambia poi molto: sono il solito Giovanni, quello di sempre. Non mi sento affatto cambiato. Sono sempre me stesso».

Il novello mister mostra la sua preparazione in materia di diritti civili, sfoggiando una conoscenza del tema che va oltre la sua esperienza personale e scende all’abc dell’educazione civica che dovrebbe essere la base di ogni cittadino che si rispetti. «Ognuno ha il diritto di vivere la propria sessualità in maniera libera. In merito, vorrei anche scambiare qualche parola con i nostri rappresentanti politici per capire come fare a completare un percorso istituzionale che porti a dei risultati concreti contro l’omofobia. Tutti abbiamo il diritto di esprimerci secondo le nostre naturali inclinazioni, in materia sessuale e in ogni altro aspetto che non leda le libertà altrui. È scritto anche nella Costituzione Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Doverlo ancora rivendicare oggi, è una cosa molto triste. Però, se questa mia incoronazione può servire a cambiare il pensiero anche di un solo omofobo, allora la accetto ancora più volentieri».

Anche sulla lotta al pregiudizio, Licchello dimostra di avere le idee chiare. Talmente chiare e forti da non comprendere in alcun caso la violenza, preferendo a questa l’incisività della parola. «Le armi più potenti sono la cultura e il dialogo. Solo così si può dimostrare che siamo tutti uguali e tutti diversi allo stesso tempo e che la diversità in sé è la nostra più grande ricchezza. Queste non sono parole di circostanza ma sono discorsi universali. Mi è anche capitato di dover difendere un amico omosessuale da un’aggressione fisica in discoteca, quando mi sono procurato la cicatrice che porto sul sopracciglio. In quell’occasione, però, in cui io ho solo sottratto un ragazzo a un attacco omofobo, nessuno ha vinto. Vinceremo tutti quando nelle discoteche non ci saranno più le piste e le serate diversificate come in una specie di apartheid della movida».

Non capita spesso di venire a conoscenza di un calciatore, o un ex come in questo caso, omosessuale. Pare esserci nel pianeta calcio, una specie di codice del silenzio, secondo il quale nessuno sa, nessuno vede e nessuno parla. Licchello, in una vita passata, è stato calciatore professionista e conosce bene quel mondo fatto a palla. «Prima di tutto bisogna dire che, all’epoca, non avevo ancora dichiarato la mia identità sessuale. Vivevo la sessualità in completa privacy. Questo, però, solo perché nessuno me lo aveva chiesto. Parlando più in generale, invece, credo che nel calcio ci sia quasi un tacito accordo che vuole che non si parli affatto della questione perché, secondo me, ci sono troppi fari puntati su questo mondo. Nella realtà, per mia esperienza, posso dire che ci sono tanti ragazzi che vivono la mia stessa situazione e tanti altri etero cui non dispiace o non dispiacerebbe affatto avere compagni di squadra omo. In fondo, il pallone somiglia tanto al mondo reale». 

Maurizio Distante

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