Marcello Simoni e il ritorno dell’Inquisitore illuminista

INTERVISTANDO– Il monastero delle ombre perdute è il nuovo thriller storico di Marcello Simoni. L’ultimo lavoro, uscito alla fine di febbraio, era attesissimo dai lettori che amano sia  le sue storie – sempre piene di suspense, mistero e colpi di scena –  sia i suoi personaggi come  Girolamo Svampa che torna in questo nuovo capitolo della storia, iniziata nel novembre 2016 con  Il marchio dell’inquisitore.

Con Girolamo tornano tanti personaggi che, sotto la sapiente mano dell’autore, avevano già  incuriosito i lettori, pagina dopo pagina, nell’opera precedente.

La cosa che colpisce di più in Marcello è la semplicità. Credo che sia uno dei suoi punti di forza insieme alla bravura con cui riesce a creare un filo logico, un ritmo avvincente, tra la storia, quella vera, che talvolta  può risultare noiosa, e la  narrazione di fantasia.

Tutte le sue opere sono ispirate dalla storia europea dal Medioevo al Seicento, ma ciò che caratterizza i suoi romanzi è sempre la rigorosa documentazione storica.

La passione per la scrittura, come mi dice, nasce molto presto. Ma cerchiamo di scoprire qualcosa  di più dalle sue parole.

 

Mi piacerebbe sapere quando nasce la tua passione per la scrittura. Quali libri leggevi da bambino e quali letture ti hanno ispirato di più?

Tutto nasce da Pinocchio: il richiamo del male e le ambientazioni gotiche. Fin da allora, pur essendo bambino, ho provato fascino per i personaggi combattuti fra il giusto e lo sbagliato e per le avventure che possono farti finire, come Giona, tra le fauci di un mostro marino. Parlo di un fascino così intenso che fece nascere in me la tentazione di instillare negli altri, scrivendo, le stesse sensazioni che provavo leggendo.

Quanto la tua passione per l’archeologia ha influenzato le tue storie?

Molto. Scoprire materiali che affiorano dalla nuda terra è un po’ come portare alla luce, scrivendo pagina dopo pagina, un romanzo. Ma al di là di questo, entrare a contatto con innumerevoli oggetti antichi mi ha aiutato a comprendere come rendere il “senso della storia” in modo diretto, senza risultare saggistico o ampolloso. A mio avviso un thriller deve essere vivo, e perché risulti tale deve avvalersi di una prosa sciolta, trascinante, senza paragrafi saggistici.

Quando ti sei reso conto che “scrivere” era il tuo mestiere? Con quale libro lo hai capito?

Ne ho avuto la piena certezza soltanto dopo la pubblicazione del Mercante di libri maledetti, esattamente quando mi sono reso conto che avevo moltissime altre idee da mettere su carta e  l’opportunità di mantenermi scrivendo. Credo si tratti delle condizioni minime necessarie per potersi definire scrittori professionisti senza passare per spacconi.

Qual è stato il libro che ti è costato più fatica e quale invece il libro che hai scritto più di getto?

Io scrivo tutti i miei romanzi di getto, e proprio per questa ragione ognuno di essi mi è costato una fatica bestiale. L’importante però è non perdere mai l’idea del divertimento. Anche giocare ci costa fatica, ma non per questo rinunciamo di farlo.

I tuoi romanzi sono tutti ambientati nel passato. Quanto c’è di Marcello Simoni nelle tue storie? Ti sei mai immedesimato in un personaggio?

In tutti, nessuno escluso. Ogni cosa che descrivo nei miei romanzi deriva essenzialmente dalla ricerca storica (anzi, dalle suggestioni che ne ricavo) e dal mio bagaglio emozionale-culturale.

Hai scritto tanti romanzi, hai avuto tanti riconoscimenti e hai tanti lettori in tutto il mondo. Marcello ha ancora un sogno che non si è realizzato?

Sto bene così, grazie. Chiedo solo di poter svolgere questo mestiere il più a lungo possibile, perché è quello che ho sempre desiderato fare.

C’è un libro, non dei tuoi ovviamente, che ti è particolarmente caro?

Il corsaro nero di Emilio Salgari.

 

Intervista a cura di di Alessia S. Lorenzi

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*