Il racconto dalla Terapia Intensiva del Perrino: “Il sentimento che proviamo è la paura”

BRINDISI – (da il7 Magazine) “Il sentimento che stiamo provando? La paura, si la paura. Non mi vergogno a dirlo ho paura. Ho paura di sbagliare, di non reggere il carico di lavoro, ma anche quello di ammalarmi e di dovermi fermare. E poi c’è la paura di poter contagiare i miei cari di tornare a casa e contagiare mia moglie. Ma è il mio lavoro, e tocca a me. Tocca a noi”. Pierpaolo Peluso è un medico anestesista rianimatore della Terapia Intensiva dell’ospedale Perrino di Brindisi, uno dei reparti in campo nell’emergenza Covid-19. La Rianimazione è il campo di battaglia, la trincea come la definiscono tutti, insieme al Pronto soccorso, la Pneumologia e le Malattie Infettive, a questi si aggiunge anche l’Otorinolaringoiatra e Endocrinologia. Oltre cento sanitari in campo, tra medici, infermieri e operatori socio sanitari concentrati sui pazienti positivi al Coronavirus. Ma ormai nessun reparto è immune.

Ha smontato dalla notte, dodici ore di tensione, alle prese tra  pazienti ormai affetti da Coronavirus con forti difficoltà respiratorie, e i casi sospetti. Come tutti i suoi colleghi ha iniziato il turno alle 20 per finirlo alle 8 del giorno dopo. “Qui non c’è ancora l’emergenza – spiega il medico – ma la tensione è alta. In questo reparto siamo abituati alla grande mole di lavoro perché come in tutti gli ospedali c’è mancanza di personale, mancano gli specialisti, basta vedere i concorsi che vanno deserti. Ma oggi la situazione è diversa. Ho vissuto l’emergenza Sars, ma a confronto fu una cosa più sfumata. Stiamo trascorrendo notti stressanti sotto il profilo psicologico e faticose dal punto di vista fisico. A volte si crea anche tensione tra i colleghi. È accaduto ieri che due sanitari discutevano animosamente, avevano ragione entrambi”.

Peluso è un medico di 49 anni. “Fortunatamente non ho figli, almeno in questo momento – dice – Come tutti noi sanitari non vedo mia madre da due settimane, e non la vedrò chissà per quanto ancora. Noi siamo quelli più esposti, siamo quelli che ci avviciniamo alla faccia e alla bocca del paziente per intubarlo. Anche i colleghi degli altri reparti ci guardano come degli appestati. È una sensazione terribile. Ci dicono di non avvicinarci, di stare lontano. All’inizio restavo male, ma come non capirli. E poi c’è  un altro problema dettato dalla paura, quando chiami un ausiliare per chiedere di portare un pacco di garze in Rianimazione nell’area dedicata al Covid 19 sbarra gli occhi e si creano attriti, ma anche questo fa parte del gioco”.

Il clima nei reparti è cambiato, è difficile strappare sorrisi, qualcuno fa qualche battuta ma è difficile anche comunicare con tutti i dispositivi di protezione. Si vedono solo gli occhi, tanto che per riconoscersi si scrive il nome a penna sulla tuta. Alla fine del turno c’è solo il passaggio delle consegne e poche parole. “Ogni volta che ci arriva una chiamata – racconta ancora il medico –  anche per un paziente sospetto il protocollo prevede l’utilizzo di tutti i dispositivi: tuta, maschere, guanti, occhiali. Ed è difficile lavorare così, si è impacciati, e con quelle tute aumenta anche la temperatura corporea. Sollevare un paziente da una barella di contenimento con tutti i dispositivi non è facile, richiede una grande forza fisica. E poi c’è la tensione emotiva nel seguire esattamente tutti i passaggi della svestizione perché rischiamo di contaminarci da soli. Dopo ogni paziente trattato cambiamo i dispositivi, questi vengono tolti e smaltiti. Speriamo di averne sempre a sufficienza”.

In corsia ogni volta è un continuo sperare che sia l’ultimo paziente infetto o sospetto. All’ospedale Perrino di Brindisi sono ricoverate circa 36 persone risultate positive al Covid 19, quattro di queste sono in Rianimazione. “I numeri che arrivano dal nord ci fanno paura – dice l’anestesista –  la Lombardia è al collasso. Se arrivasse nella stessa maniera qui? Non voglio neanche pensarci. Io ora mi sento piccolo rispetto a quello che stanno vivendo i colleghi. Ho sentito alcuni di loro che non hanno neanche più il tempo di fare congetture”.

La lotta ora è quella di bloccare il contagio per portare meno gente in ospedale, bisogna ridurre il rischio. “Sa cosa mi ha detto l’altro giorno un’infermiera? La mattina quando mi sveglio ho l’impressione che sia passato tutto, che sia finita, poi accendo la televisione e mi rendo conto che siamo ancora nell’incubo. Ci siamo ancora dentro. L’unica cosa che possiamo augurarci è che qui da noi resti di queste dimensioni, per questo chi può farlo deve restare a casa. Noi non possiamo, noi restiamo qui”.

Lucia Portolano

2 Commenti

  1. Siate forti e che qualcuno dall’alto vi assisti.Parla una mamma che ha un figlio che LAVORA al TRIAGE a FIDENZA provincia di PARMA

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