Strage Morvillo-Falcone, le vittime: «Lo Stato non si dimentichi di noi»

BRINDISI – Sette mesi. Tanto è passato da quel 18 giugno, giorno in cui il giudice Domenico Cucchiara, assistito dal giudice a latere Francesco Aliffi e dalla giuria popolare, condannava all’ergastolo Giovanni Vantaggiato, l’ormai 70enne imprenditore di Copertino che il 19 maggio del 2012 aveva fatto saltare in aria un gruppo di ragazze mentre si recavano a scuola, uccidendone una e ferendone molte altre. Quella vicenda, quella del Morvillo-Falcone di Brindisi, ha segnato l’Italia intera ma, oggi, sembra più che altro un ricordo sbiadito nella memoria di molti, come un vecchio articolo tratto da un giornale ingiallito.

«Il peso che ci portiamo addosso da un anno e mezzo è troppo grande per le nostre spalle». Sono sedute attorno a un tavolo, le famiglie Ribezzi e Greco, due dei nuclei colpiti dall’attentato. La soddisfazione provata il 18 giugno nel vedere riconosciute le proprie istanze da un giudice in un’aula di tribunale, uno dei luoghi più sacri della vita laica di uno Stato, è svanita, sembra che sia passato un secolo. Con quella sentenza, infatti, le giovani ricevevano lo status di vittime del terrorismo che gli garantiva l’accesso a un fondo statale riservato. Le cure, pesanti e costose, che i casuali obiettivi di Vantaggiato dovevano sostenere per recuperare il più possibile dall’esplosione non facevano più paura come prima.

Dovrebbero già avere in mano 200mila euro a testa, una provvisionale sul risarcimento totale, ma nessuno sa dire loro né quando né quanto riusciranno ad ottenere. Intanto le spese si accumulano e aumentano. «Ci hanno convocato d’urgenza il 7 maggio alla Marina Militare di Taranto, dicendoci che le nostre figlie sarebbero state sottoposte a una valutazione clinica che avrebbe assegnato loro un punteggio per la quantificazione dei danni che hanno subìto e il relativo risarcimento – racconta Vincenzo Greco, il papà di Selena – Da allora non abbiamo avuto più notizie: i nostri avvocati chiamano, ora a Roma, ora a Brindisi, ma assistono ogni volta a un rimpallo di responsabilità che, francamente, ci ha stancato». Le famiglie hanno pazientemente aspettato un segno, una comunicazione dalle istituzioni, facendo fronte, in silenzio e con dignità, a tutte le spese che la condizione delle proprie figlie impone. «Non chiediamo niente di più di quello che serve a garantire il sostegno alle nostre ragazze – sottolinea Marcello Ribezzi, padre di Sabrina – In questi mesi, in questo anno e mezzo, ci siamo fatti carico di ogni spesa, e ce ne sono un’infinità, senza battere ciglio. Ora, però, la corda si sta spezzando perché non riusciamo più a vedere un orizzonte sereno. Non ce la faremo ancora per molto». Sabrina, sempre secondo la legge, essendosi diplomata e avendo lo status di vittima del terrorismo, dovrebbe avere già un posto di lavoro, di diritto. «Tutto quello che chiediamo – fanno in coro – è solo di sapere se lo Stato, quello che nei mesi del processo era sempre presente, una volta spenti i riflettori, si sia dimenticato delle nostre figlie».

Maurizio Distante

 

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