A casa dei pazienti Covid: medici giovanissimi rispondono alla chiamata: “Ora c’è bisogno di noi”

CEGLIE MESSAPICA – Si recano nelle case dei pazienti Covid per fornire assistenza, ma anche per dare una parola di conforto. Sono giovanissimi, la maggior parte di loro si è appena laureata in Medicina. Eppure senza farsi molte domande hanno deciso di dare il proprio contributo e di essere i soldati di questa battaglia.

Fabio Pappagallo ha 36 anni, è il più grande dei sei medici del gruppo Usca di Ceglie Messapica. Quella di Ceglie è stata la prima unità speciale di continuità assistenziale istituita nella provincia di Brindisi, e sino a novembre, è stata anche l’unica. Al primo avviso pubblico di marzo hanno risposto solo in sei. Sei medici  che hanno un’età compresa tra i  26 e 27 anni, alcuni senza alcuna esperienza sul campo. Ragazzi neo laureati che si sono gettati a capofitto in quella che è la più grande battaglia mondiale dal secondo dopo guerra. Sino ad un mese fa da soli hanno assicurato assistenza domiciliare a tutti i malati Covid del territorio provinciale. Finalmente a novembre al gruppo si è aggiunta anche un’infermiera, anche lei molto giovane.

Ad oggi in tutta la provincia si contano cinque usca (a quella di Ceglie si è aggiunta Torre Canne, San Vito dei Normanni, Brindisi, San Pietro Vernotico), ed a breve sarà istituita anche la sesta a San Donaci. Al secondo avviso pubblico questa volta si sono presentati in 30. Al primo c’era più timore tra gli operatori sanitari e anche poche certezze organizzative, ma poi gli ingranaggi hanno iniziato a funzionare bene.

Fabio Pappagallo referente del gruppo di Ceglie ha un’esperienza in guardia medica. Lavora presso la guardia medica di Latiano. Ha un contratto di medico convenzionato, altri suo colleghi  hanno invece un contratto da prestazioni con Partita iva. Guadagnano 40 euro lorde all’ora, che significa circa 3mila euro al mese.

Ogni mattina si recano presso la sede dell’ex Cim di Ceglie Messapica consultano l’agenda dei pazienti e dopo un’accurata vestizione si recano nelle loro case. Sono completamenti coperti con tute bianche, mettono i doppi guanti, si intravedono solo gli occhi, ma anche quelli sono coperti con degli occhiali a maschera. Restano così per ore, non possono neanche andare al bagno o avere contatti con altre persone se non con i pazienti Covid.

“Non è stata una scelta facile – spiega Fabio Pappagallo –  ma per quanto mi riguarda ho sempre pensato che non si potesse fare il medico al telefono, e dopo le disposizioni Covid anche in guardia medica non potevamo più ricevere i pazienti. Eravamo rintanati nelle nostre sedi, additati come coloro che avevamo abbandonati i pazienti, ma purtroppo  c’è stato un momento soprattutto in Puglia in cui non c’erano dispositivi di sicurezza a sufficienza. All’inizio della pandemia molti medici di famiglia si sono ammalati e morti proprio per questo, perché sono andati a fare la guerra a mani nude. Purtroppo è anche vero che all’inizio c’erano poca conoscenza del virus. Il mio impegno non poteva fermarsi solo a segnalare i casi sospetti, e così d’accordo con la mia famiglia ho deciso di partecipare”.

Il giovane medico ha una compagna e due bambini piccoli, il secondo è nato due mesi fa. “Noi andiamo a casa  dei positivi accertati o fortemente sospetti, sarei falso a dire che non ho paura – afferma il medico-  È umano avere paura. Quando ho aderito all’avviso pubblico la mia compagna era incinta del nostro secondo figlio. È stata una scelta condivisa. Avevo anche messo in conto di isolarmi. Ogni giorno prima di tornare a casa faccio sempre una seconda doppia con l’alcol. Ma sono un medico e in questo momento c’è bisogno del nostro aiuto. Se non ci fossimo proposti molta gente non sarebbe stata visitata da nessuno, sarebbe rimasta a casa sola. È stata come una chiamata alle armi. In tutta Italia ci sono le usca. Ci siamo proposti noi medici più giovani come scelta per tutelare i colleghi più grandi, per i quali sarebbe stato più rischioso”.

 Da maggio a novembre quella di Ceglie è stata l’unica usca attiva su tutta la provincia. “All’inizio i casi erano pochi  – racconta il medico – in estate siamo stati trasferiti per dare supporto al dipartimento Prevenzione e ci siamo occupati del tracciamento per coloro che arrivavano in Puglia da altri paesi a rischio. Tra fine settembre ed ottobre siamo tornati ad occuparci dell’assistenza domiciliare, in questi mesi c’è stata la seconda ondata e la nostra regione è stata investita in pieno. Ci sono stati momenti difficili, le visite sono aumentate, c’era un po’di nervosismo dovuto alla stanchezza. Siamo arrivati a fare 20 visite al giorno, andavamo da una casa all’altra  e quotidianamente monitoravamo almeno 40 persone. Non è stato facile.  Fortunatamente poi sono arrivati i rinforzi. La Asl di Brindisi è stata la prima a partire in Puglia e non ha mai interrotto il servizio come invece è avvenuto in altre zone”.

Un’assistenza quella dei medici usca non solo fisica, ma anche psicologica. Tra i pazienti ci sono mamme, papà, ma anche e soprattutto tanti nonni soli.  “Per i pazienti siamo un conforto – aggiunge Pappagallo – alcuni si confidano con noi, d’altronde siamo le uniche persone che vedono durante la loro degenza. Sono chiusi in casa, o nella loro stanza. All’inizio sono un po’ timorosi, arriviamo completamente coperti con le nostre tute poi si scioglie il ghiaccio e sono felici di vederci. La sensazione di molti di loro è quella di sentirsi abbandonati, la gente già malata e allettata non può ricevere altra assistenza se non la nostra. Tutti ci chiedono quando finirà, quanto tempo ci vorrà. Ora noi riusciamo a dare qualche risposta in più rispetto all’inizio della pandemia. Riusciamo a dare una linea guida che possa rassicurarli. È un momento forte per tutti, difficile, ma noi ci siamo”.

Lucia Portolano

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