Carcere senza infermieri, la notte resta solo il medico

BRINDISI- (Da Il7 Magazine) Un medico per duecento detenuti e nessun infermiere durante la notte, il carcere di Brindisi rischia l’emergenza. Dal primo marzo quattro infermieri in meno nei turni e la notte solo il medico per una struttura che accoglie circa 200 detenuti. Una proporzione che non regge se si pensa che la capienza regolamentare è quella di 114 ospiti, quindi aumentano gli ospiti e i servizi vanno in affanno. I contratti a tempo determinato degli infermieri, che normalmente sono dieci, scadranno giovedì 28 febbraio e ancora nessuno dalla direzione sanitaria della Asl di Brindisi ha fatto sapere se e quando saranno rinnovati. A conti fatti la struttura carceraria resterà con sei infermieri, uno dei quali è già assente per malattia. Cinque infermieri in tutto che dividono i turni escluso quello della notte che resta scoperto. Il rischio che questa situazione diventi un’emergenza è concreto ed è legato al ruolo che svolge il personale sanitario all’interno della struttura carceraria, un ruolo di assistenza che molto spesso può fare la differenza. Lo dice anche il Ministero della Giustizia che nelle ultime disposizioni sul sistema carcerario è stato molto chiaro spiegando ruoli, competenze e finalità.

Il Ministero della Giustizia prevede sin dall’ingresso in carcere un’assistenza diretta del detenuto tanto da parte del medico che da parte dell’infermiere di turno.

I primi momenti della detenzione, tanto nella fase cautelare quanto in quella della esecuzione della pena, sebbene con caratterizzazioni diverse, sono delicati ed importanti per molteplici scopi: segnalare immediatamente ai detenuti, appena giunti in un ambiente estraneo e difficile, la possibilità di avere operatori con cui instaurare un dialogo; informare correttamente i ristretti sulle regole che scandiscono la vita detentiva; accertare e trattare con tempestività stati di disagio psicologico, di malattia psichiatrica, di malattia fisica.
Questi tre ordini di attività mirano a: prevenire il rischio suicidiario, particolarmente presente nei primi periodi di detenzione; conoscere la persona ai fini del successivo programma di trattamento individualizzato; ridurre la conflittualità intersoggettiva che, anche a causa dalla mancata o scarsa conoscenza delle regole della vita penitenziaria, può dar luogo a conseguenze disciplinari e penali, soprattutto nella prima fase della detenzione; prevenire le malattie e garantire la continuità delle terapie eventualmente già in corso al momento dell’ingresso in Istituto.
“Pertanto, la riorganizzazione del servizio nuovi giunti- dice il Ministero- risulta oggi avere carattere prioritario proprio allo scopo di ridimensionare tutti i rischi connessi alla fase iniziale della detenzione”. Ovviamente non si tratta solo della fase iniziale della detenzione ma vi sono anche i rischi legati a quella successiva, soprattutto quando si parla di detenzioni a lungo termine.

Il sostengo tecnico-clinico per i detenuti, nel caso specifico con comportamenti a rischio di suicidio, è il compito proprio di infermieri, medici e psicologi che operano quotidianamente nei servizi di assistenza e che possono cogliere sintomi e richieste di attenzione e di cura nel corso di visite, colloqui , distribuzione di terapie. Sono loro che possono, in questi casi, dare corso ad un primo sostegno e alla segnalazione del caso.

Il taglio al personale infermieristico crea quindi un grande scompenso nella gestione dei servizi.

Il rischio che si verifichi un’emergenza sanitaria aumenta la notte, quando aumentano anche le possibilità che una persona possa decidere di fare un gesto inconsulto aumenta.

All’interno della struttura detentiva, tra l’altro, non ci sono solo i casi di potenziali suicidi ma anche detenuti con problematiche legate alla tossicodipendenza, all’alcool o patologie croniche. L’assistenza sanitaria oltre che necessaria e dovuta. Ma nel momento in cui un medico si trova solo con uno o più pazienti, che necessitano di assistenza, svolgere il suo compito diventa molto più complicato e si rischia di mettere in pericolo la vita stessa del detenuto. “In caso di emergenza sarebbe difficile per un medico- dicono- prendere da solo un defibrillatore, assistere chi ha bisogno e chiamare il 118”.

La direttrice del carcere, Annamaria Dello Preite, conosce bene le problematiche legate alla struttura e in questo momento è al corrente anche delle difficoltà nelle quali si trova il personale infermieristico e quello medico.

“La situazione è stata segnalata sia al direttore sanitario che al direttore generale della Asl- spiega la direttrice del carcere di Brindisi, Annamaria Dello Preite- l’ha segnalata il responsabile di aria sanitaria del carcere che ha indirizzato anche a me la comunicazione. Io ho chiesto la convocazione di una cabina di regia perché mensilmente ci sono questi incontri alla Asl. Ho chiesto la convocazione di questa regia per la soluzione di questa criticità. Quindi mi attendo ora che il direttore generale e il direttore sanitario intervengano quanto prima”.

Del resto l’assistenza sanitaria è un diritto ed è impensabile che la struttura rimanga scoperta da questo servizio.

“Per la casa circondariale di Brindisi è prevista un’assistenza infermieristica h.24- spiega ancora la direttrice- e un’assistenza medica durante il girono e non nel servizio notturno. Per la verità da tempo la Asl mette a disposizione il servizio della guardia medica nelle ore notturne a fronte della difficoltà di spostare il servizio infermieristico durante la notte all’interno della struttura. Fondamentalmente è preferibile che ci sia un medico la notte. Sono certa che così come è intervenuta altre volte la Asl interverrà anche questa volta. Per altro ora c’è un nuovo direttore sanitario e presumo che ora voglia rendersi conto dell’istituto e delle sue esigenze. Tra l’altro è come se fosse una sezione distaccata della struttura sanitaria esterna. Poche volte i vertici della Asl sono venuti a visitare l’infermeria dell’istituto che per altro è di loro esclusiva pertinenza”.

A margine di questo vi è un altro problema legato all’assistenza sanitaria: l’ascensore del carcere di Brindisi non è omologato a trasportare le barelle.

In pratica la struttura che sorge su due piani non è dotata di un ascensore in grado di accogliere una barelle se il caso lo dovesse richiedere. Tutte la volte che è intervenuto il 118 gli operatori hanno dovuto percorrere a piedi le distanza e salire e scendere le barelle utilizzando le scale. Nonostante questa difficoltà pare che nessuno si sia posto il problema sino ad oggi, anche se il carcere è stato ristrutturato di recente.

“Il carcere è stato collaudato, nel momento in cui è stato ristrutturato c’è stato un collaudo e se poi questo ha avuto un esito positivo vuol dire che il problema non è stato sollevato. Ma è evidente che se questa difficoltà esiste va risolta. Tutto quello che si può migliorare va fatto”.

Lucia Pezzuto per IL7 Magazine

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