Dalla frigidità all’anorgasmia femminile, cosa accade

Da questa domenica parte la rubrica, LA PAROLA ALL’ESPERTO, professionisti in diversi settori faranno una disamina su svariati argomenti che riguardano la quotidianità. Saranno analizzati i fenomeni, la loro origine, con anche qualche  piccolo consiglio. Oggi la parola a Fabio Delli Santi, psicologo

“Ultimamente in TV stanno trasmettendo una serie che racconta le vicende personali e lavorative di due tra i più importanti studiosi della sessualità umana. I meno conosciuti al grande pubblico oserei dire. Si tratta del dott. Masters e la signora Johnson. Si deve a loro parte delle intuizioni che hanno successivamente portato a studi più complessi e riconosciuti in tutto il mondo. Hanno direttamente o indirettamente influenzato quel fenomeno sociologico, solitamente definito rivoluzione sessuale degli anni ’70, dal quale sono nati anche i movimenti di opinione femminista, che hanno cambiato totalmente la cultura a seguire fino ad oggi. Hanno fornito i dati scientifici, i numeri, i grafici e le prove necessarie per far prendere atto alla medicina dell’epoca di una situazione che già Kinsey anni prima aveva illuminato (Kinsey Report, 1948). Cioè, la donna vive e prova piacere sessuale al pari dell’uomo ed in molti casi, da un punto di vista fisico, molto più intenso. La “novità” sconvolse la società americana ed europea dell’epoca, che ancora si portava dietro gli strascichi dell’epoca vittoriana e dell’inizio secolo 900. A causa dello scandalo scoppiato Rockfeller bloccò immediatamente i fondi per la ricerca che aveva accordato al giovane e famoso ricercatore.

Per molto tempo la letteratura erotica interpretata dai medici e dagli intellettuali è stata la fonte principale delle conoscenze riguardanti le reazioni fisiche ed i vissuti che caratterizzano il rapporto sessuale (Rifelli, 1998). Nella prima metà del 900, con il diffondersi di una pratica clinica psichiatrica, urologica e venereologica, in cui vi era una puntuale registrazione dei racconti dei pazienti, inizia la stesura definibile scientifica del capitolo dedicato alla risposta sessuale. Inizialmente le classificazioni riguardanti le disfunzioni sessuali erano, coerentemente con i modelli assunti, particolarmente rigide. In seguito all’impostazione freudiana (Freud, 1905), molti autori  inclusero ogni disagio della risposta sessuale femminile  nella allora vastissima area della “frigidità”. Infatti scrive Langer “… soltanto pochi decenni fa si presumeva che una sposa buona e decente non provasse e  non dovesse provare l’orgasmo”. L’autore fa notare come questa concezione fosse sostenuta non solo dagli uomini, ma anche condivisa dalla maggioranza delle donne (ibidem, 1964). La frigidità era vista, non come un disturbo, ma come un positivo e normale atteggiamento indicatore di “donna perbene”. Il diritto al piacere sessuale e la sua esistenza stessa erano considerati disdicevoli nel sesso femminile.

Nel 1945 Deutsch definisce una frigidità benevola: “… quella della donna che è profondamente felice di dare godimento all’uomo in un passivo, tenero, materno amplesso, senza sentire il bisogno di un’esperienza sessuale personale”. Masters e Johnson nel 1966 criticano il concetto di frigidità definendolo come un ”… termine spesso usato impropriamente per indicare un’insufficienza sessuale femminile” che varia dall’incapacità di raggiungere l’orgasmo, a qualsiasi insoddisfazione nella risposta sessuale da parte della donna, o del partner. Willy Pasini (1975) suggerisce l’uso del termine frigidità in modo estensivo, in quanto indicatore alcune volte di una diminuzione del desiderio, altre di una carenza o assenza di risposta sessuale. Secondo l’autore in molti casi questo disturbo sarebbe secondario a fenomeni di vaginismo o dispareunia passeggera. La Kaplan fa notare come frigidità sia un vocabolo “… con cui oggi si fa riferimento a tutte le forme di inibizione della reazione sessuale femminile, dall’assoluta mancanza di reattività e di sensazioni erotiche, ai gradi minori di inibizione orgasmica (Kaplan.1975). Pertanto il termine è impreciso.

E’ sbagliato quindi inglobare sotto il termine unico di frigidità vari disturbi senza specificare a quale fase dell’attività sessuale il disturbo si riferisca (Dacquino, 1994; Piscicelli, 1994). Anche la Kaplan al termine frigidità preferisce il concetto di “disturbi del desiderio sessuale”, distinguendolo in “desiderio sessuale ipoattivo” (HSD) e “inibizione del desiderio sessuale” (ISD).

Nella letteratura specializzata inizia ad essere sottolineata la differenza tra “frigidità” ed “anorgasmia”, solo dopo l’imponente lavoro di Masters e Johnson che criticarono in maniera aspra la confusione di terminologia e concettualizzazioni attorno a tale problematica. Come già accennato con frigidità, negli anni che stiamo considerando, si faceva riferimento all’alterazione  del “desiderio” con ripercussioni sulla  reazione sessuale in tutte le successive fasi.

Nel 1970 Masters e Johnson sostituirono al termine “frigidità” quello di “disfunzione orgasmica”, a loro parere meno denigratorio e soprattutto più opportuno quando si voglia fare riferimento specifico ad un disagio frequentemente riscontrabile  riguardante l’orgasmo.

Negli anni successivi la maggioranza degli autori aderiva, pur se con stili diversi, ai modelli proposti da Masters e Johnson e dalla Kaplan, come si evince dalla letteratura immediatamente successiva agli inizi degli anni settanta. Ad esempio, Schnabl nel 1971 descrive la donna anorgasmica come in grado di essere eccitata intensamente ma con l’impossibilità di provare l’orgasmo; di conseguenza permane insoddisfazione nel coito. Dalla Volta nel 1974 indica con “impotenza orgastica” la situazione in cui pur realizzandosi l’atto sessuale non si verifica l’orgasmo, condizione che determina il pluri testimoniato stato di insoddisfazione (Reich, 1927; Kinsey, 1953; Masters & Johnson, 1966; Schnabl, 1971; Dalla Volta,1974).

La Kaplan distinse un altra categoria diagnostica, “l’anorgasmia situazionale” e le donne che ne sono affette raggiungono l’orgasmo solo in determinate circostanze (Ibidem., 1974).

Come già accennato, i lavori di Masters (1966;1970) e della Kaplan (1974;1979) hanno segnato il punto di partenza per un nuovo modo di approcciarsi e definire la disfunzione sessuale e specificatamente a quella orgasmica; Così negli anni recenti si può constatare come nella letteratura specializzata, l’anorgasmia venga considerata  nelle sue diverse dimensioni,da quella biologica a quella specificatamente fisiologica ed ultima ma  fondamentale nella creazione del sintomo, la dimensione  psicologica che la Kaplan, appunto, valorizzò sul piano clinico. Infatti  Araoz fece notare come una donna potesse essere eroticamente eccitata, desiderosa di godere dalla sessualità ma al tempo stesso ma non in grado di raggiungere il culmine del piacere (Araoz, 1984).

Anche Grafeille (1985) focalizza l’attenzione sul contesto in cui la disfunzione orgasmica si presenta; L’autore parla di “anorgasmia relazionale”, che invece si presenta solo in un contesto di “coppia”, cioè con il partner, nonostante si possano ottenere orgasmi con stimolazioni masturbatorie (Grafeille, 1985).

Sempre in questo periodo Zwang usa il termine “anorgasmia capricciosa”, per indicare la difunzione che si esperisce nelle situazioni più varie a secondo del partner o delle circostanze.

Nel 1994 l’American Psychiatric Association pubblicò la versione revisionata del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV, 1994).

Nel capitolo dedicato ai “disturbi sessuali” nel DSM-IV si distinguono le “parafilie” e “le disfunzioni sessuali”. I disturbi dell’orgasmo sono inclusi nella seconda classificazione. L’anorgasmia è definita come “Persistente o ricorrente ritardo o assenza dell’orgasmo dopo una fase di eccitazione definibile clinicamente adeguata” (DSM-IV, 1994/2013). Non sono indicate la frequenza e le circostanze in cui l’anomalia possa essere definita tale poiché spetta al clinico stabilirne l’esistenza considerando l’età e l’esperienza del soggetto, la frequenza del sintomo, il disagio riportato e l’eventuale influenza da parte di altre aree di funzionamento della persona. Inoltre si deve appurare che il sintomo non sia attribuibile ad una condizione medica generale compromessa, o all’abuso di sostanze (Farmaci, ecc). I “sottotipi” di anorgasmia sono quattro, rispettivamente due per focalizzare l’origine del sintomo e due per individuare il contesto dove più frequentemente si riscontra: tipo permanente, tipo acquisito, tipo situazionale e tipo generalizzato (DSM-IV).

Se la disfunzione è presente dall’inizio della vita sessuale si definisce di tipo primario. Se la disfunzione si sviluppa dopo un periodo in cui risposta sessuale è stata soddisfacente, si definisce di tipo secondario.

Se invece il sintomo non è in relazione con specifiche modalità di stimolazione, di situazione o al partner con cui si ha il rapporto, la disfunzione è di tipo generalizzato (DSM-IV, 1994).

La chiarezza teorica ha consentito alla ricerca di elaborare modelli di intervento focalizzati che di conseguenza hanno raggiunto i risultati sperati, cioè la risoluzione del sintomo e la riconquista oltre che del piacere derivante dalla propria sessualità, di un benessere che la disfunzione orgasmica può generare, sopratutto se cronica. Alcune volte il disagio è fonte di delusione, frustrazione e senso di sconfitta nel partner, che possono portare al raffreddamento del rapporto alla crescita di un certo grado di irascibilità tra i membri della coppia (Sala, 1997).

C’è da tener presente che il protrarsi del disagio orgasmico nel tempo può tradursi in un più complesso disturbo dell’eccitazione dovuto all’emozione di allarme che scatta in previsione del rapporto sessuale; ciò è probabilmente determinato delle passate esperienze fallimentari, che hanno trasformato la sessualità in qualcosa di sgradevole (Fenelli & Lorenzini, 1993).

Fabio Delli Santi

1 Commento

  1. L’insoddisfazione sessuale (oggi più frequente anche per precocità eiaculatorie o disfunzioni erettili se non per problematiche tipicamente femminili) porta a considerare che eventuali disfunzioni della sessualità comportino una cura sessuologica, a volte psicologica (di ciò che è, ovviamente, curabile…). Tuttavia conviene, prima di ricercare cure per possibili “defaillances” sessuali manifestate in coppia, spesso imprevedibilmente, prepararsi ad una sessualità felice con il proprio partner (anche occasionale) tramite un possibile percorso di prevenzione come riportato in almeno due capitoli del Manuale pratico del benessere patrocinato dal club UNESCO: si tratta di un percorso di auto aiuto seguendo prescrizioni sessuologiche, consigli psicologici pratici, praticando conoscenze naturopatiche e, se necessario anche modificando il proprio regime nutrizionale.

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