Dda: “Legami tra Scu, camorra barese e mafia foggiana e le slot -machine il nuovo business”

BRINDISI – ( da il7 Magazine) Legami e business tra Sacra corona unita, camorra barese e mafia foggiana. Organizzazioni autonome nell’esercizio del potere nel controllo dei propri territori, ma proiettate, sotto il comando delle famiglie dominanti, alla realizzazione di una sinergica struttura multi-business. Le organizzazioni hanno una mentalità criminale più moderna e specializzata, che li consente di spaziare nei vari ambiti dell’illecito (come quello delle scommesse illegali on-line e nella gestione e il noleggio delle slot machine) affermando così una tendenza espansionistica verso i settori in crescita dei mercati legali. Questo è quanto emerge nella relazione del primo semestre del 2018 della direzione distrettuale antimafia consegnata al Parlamento. In questa prospettiva, le associazioni criminali si dimostrano capaci di attuare efficaci strategie d’infiltrazione nell’indotto economico-finanziario gestito dagli enti locali, in particolare nel settore dei rifiuti. Il legame tra Sacra corona unita e la camorra barese si evince anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia emerse nell’operazione Pandora che ha portato all’arresto di 104 persone tra Bari e provincia. Il pentito racconta che quando doveva essere elevato a grado di “tre quartini” ebbe difficoltà a trovare a Bari qualcuno che fosse all’altezza di celebrare il rito. “In realtà qualcuno di livello adeguato c’è ma in carcere – spiega – si tratta di  Savino Parisi e Giuseppe Mercatale”. Alla fine il rito di elevazione gli fu celebrato nella seconda sezione del carcere di Bari da un ragazzo brindisino. Uno affiliato a Pino Rogoli (di Mesagne), finito in galera per associazione mafiosa. “Una volta appreso il problema della celebrazione del rito di elevazione – racconta – si offrì di farlo dichiarandosi competente. Chiese un ago e procedette alla liturgia camorristica adottando però l’accortezza di recitare mentalmente il rito così da evitare il rischio intercettazioni”.  Nella provincia di Brindisi, in particolar modo nel capoluogo, dopo una fase di turbolenza registrata nel 2017 con intimidazioni, conflitti a fuoco e ferimenti tra bande rivali, sembra essere ritornata una situazione di apparente stabilità. Secondo gli inquirenti si è trattato di episodi delittuosi  messi in campo da piccole batterie, spesso non ancora connotate da “mafiosità”, ma non per questo meno capaci di turbare la sicurezza pubblica. Per mesi si è sparato per  strada, ma i responsabili sono stati arrestati. Negli anni la scacchiera criminale delle famiglie che si spartiscono il territorio brindisino resta sempre la stessa. Nella città di Brindisi è confermata la presenza dei gruppi Brandi e Morleo, entrambi attivi nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle estorsioni. A Torre Santa Susanna permane il clan Bruno. Le attività investigative hanno ancora una volta confermato che in provincia sopravvive una forma di pax mafiosa tra i due gruppi mesagnesi Rogoli- Campana da una parte e Vitale – Pasimeni – Vicientino dall’altra, con i Buccarella che “gestiscono” ancora Tuturano e d’intorni. La leadership criminale dei mesagnesi ha trovato conferma negli esiti dell’operazione “Oltre le Mura” che ha smantellato la linea di comando di una nuova cellula di matrice mafiosa criminale, nata nel luglio del 2017 ed in contatto con alcuni esponenti di vertice della criminalità organizzata leccese. La Scu stava tentato di ricostituirsi. L’inchiesta ha svelato come due boss detenuti, affiliati alla vecchia Sacra Corona Unita mesagnese, dessero ordini dal carcere, capaci anche di colloquiare con delle lettere con detenuti di altri istituti penitenziari italiani, attribuendo loro l’investitura mafiosa e, in alcuni casi, sancendone l’affiliazione. Il ricostituito sodalizio mirava ad un regime di monopolio di attività illecite tra le quali il traffico di sostanze stupefacenti e le estorsioni in danno di varie attività imprenditoriali operanti nel settore ittico e nella gestione dei parcheggi. In generale, il traffico degli stupefacenti rappresenta la principale forma di finanziamento per le varie compagini criminali del brindisino e le numerose neoaggregazioni delinquenziali in ascesa che, sebbene appaiano ancora carenti di una precisa strategia criminale, agiscono replicando i modelli della Sacra Corona Unita. In tale mercato risulta solida la collaborazione con le organizzazioni albanesi. Non solo droga leggera, prodotta e coltivata in quel territorio ma anche immigrazione clandestina ed il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, anche se questo in quantità minore. L’inchiesta “Tunder” ha evidenziato inoltre, la sussistenza dei rapporti tra alcuni criminali salentini ed esponenti della criminalità organizzata siciliana: i primi garantivano ai secondi la marijuana, ricevendo in cambio quantitativi di hashish, più facilmente reperibile sul mercato siciliano, grazie alla vicinanza geografica con i paesi magrebini. L’approvvigionamento della droga non avviene solo dal Paese delle Aquile, ma anche dalla Lombardia, dal Belgio e dalla Germania, precisamente da Duisburg, dove sono emersi contatti con esponenti della ‘ndrangheta di San Luca. Ma il nuovo business della criminalità brindisina sarebbe orientata al controllo del settore dei videogiochi, mediante il noleggio e la fornitura di slot machine e video lottery, nonché alla gestione dei servizi connessi alle scommesse, con notevoli flussi di cassa. Nella relazione della direzione distrettuale antimafia non viene sottovalutato il ruolo strategico del porto di Brindisi, divenuto approdo per introdurre nel territorio italiano merci contraffatte commercializzate come prodotti Made in Italy, destinati al mercato comunitario. Resta il racket delle estorsioni come dimostrano i numerosi episodi incendiari e danneggiamenti ai danni di capannoni industriali, aziende commerciali e locali notturni, dai furti con la tecnica del “cavallo di ritorno” in danno di automobilisti ed imprenditori e, durante la stagione estiva, dall’imposizione di servizi di security e guardiania ai proprietari degli stabilimenti balneari e dei locali notturni. Le cosche inoltre avevano una grande disponibilità di armi, come dimostrano i numerosi sequestri.

Lucia Portolano

 

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