Decarbonizzazione, l’appalto della Sir solo l’inizio di una catena: 20 appalti che scadranno a breve

BRINDISI – (da il7 Magazine) Avevano bloccato l’ingresso della centrale termoelettrica di Cerano, ed erano rimasti lì tutto il giorno. Protestavano i lavoratori  della Sir che si occupano dell’assistenza del carico e scarico del carbone, e della movimentazione di ceneri e gessi. Con il nuovo appalto quasi la metà di loro è rimasta fuori dall’attività. La platea storica si è ridotta da 83 a 45 lavoratori, tutti gli altri sono rientrati tra gli esuberi. Enel nella nuova gara d’appalto aveva chiesto una riduzione del personale. La movimentazione del carbone e delle merci ormai si è ridotta. Nel mese di marzo uno dei quattro gruppi della centrale è stato definitivamente dismesso. Il gruppo 2, da 640 megawatt, è stato completamente spento e sono iniziate le operazioni di messa in sicurezza. Nel cronoprogramma la società energetica vorrebbe abbandonare il carbone entro 2024, un anno prima rispetto al tempo sancito dalla Strategia energetica nazionale. Ma su una cosa il direttore di Enel Carlo Tamburi è stato chiaro: “Per poter dire addio al carbone entro il 2025 – spiega – occorre che gli iter autorizzativi italiani siano rapidi e con tempi certi. Solo così si potrà fare affidamento su un mix di impianti da fonti rinnovabili e gas che permetta di abbandonare definitivamente questo combustibile fossile”. Il direttore si riferisce alle procedure autorizzative attese da Enel anche per la conversione della centrale di Cerano a gas.

Tornando alla nuova  gara d’appalto la società energetica ha previsto la clausola sociale, nel senso che gli esuberi devono essere comunque ricollocati dalla ditta in altre attività. Enel chiede infatti di presentare una proposta di ricollocamento che viene valutata e verificata. Il problema della Sir si è posto perché la maggior parte dei lavoratori ha un contratto da turnista mentre la nuova ricollocazione prevede mansioni da giornaliero, con una riduzione dello stipendio.  Dopo un braccio di ferro è stato trovato l’accordo con la mediazione dell’organizzazioni sindacali e del prefetto di Brindisi. Si starebbero stabilendo delle erogazioni ai lavoratori ricollocati per colmare la differenza di stipendio. La trattativa è ancora in corso.

In realtà quello che sta accadendo con i lavoratori della Sir è solo l’inizio di una catena che interesserà a breve tutte le altre gara d’appalto dell’indotto. Si tratta di circa 20 contratti, dove sono impegnate in tutto 400 risorse. Tutte le nuove gare chiederanno un numero ridotto del personale con la ricollocazione in altre attività di chi resterà fuori, ma non tutte le aziende potranno permetterselo. A rischio centinaia di lavoratori del settore manutenzione e logistica.  Ripercussioni si avranno anche in ambito delle attività portuali dove la movimentazione del carbone resta la fonte di approvvigionamento primario. La Sir ha fatto solo da apripista.

In un comunicato unitario Cgil, Cisl e Uil, hanno espresso serie preoccupazioni per questa fase di decarbonizzazione che non prevede celeri e concrete alternative. Da tempo le tre segreteria provinciali non esprimevano una visione unitaria. L’unione fa chiaramente capire lo stato di emergenza per un territorio già povero e in difficoltà. I sindacati parlano del rischio di  implosione sociale.  “La decarbonizzazione è una oggettività dalla quale non si può tornare indietro – affermano Antonio Macchia (Cgil) Francesco Solazzo (Cisl) e Antonio Licchello (Uil) – ma serve una road map anche nel sistema degli appalti che porti al migliore degli esiti possibili, in termini di occupazione, sostenibilità e ritorno economico per il territorio. Questa può rilevarsi una grande opportunità solo se verranno contestualmente programmati adeguati investimenti per lo sviluppo economico e produttivo. È da qui che nasce l’obbligo di non lasciare dietro nessuno, per evitare che siano i lavoratori a pagare i costi della transizione”.

Ma il processo di decarbonizzazione avrebbe iniziato a  produrre i suoi effetti negativi a Brindisi dal punto di vista imprenditoriale e occupazionale già alcuni anni fa, da quando l’Europa e il governo nazionale hanno deciso di non utilizzare più il carbone come combustibile per alimentare gli impianti, avviando la transizione energetica per la quale Enel  si è attivata per prima in Italia. “Già da quel momento – spiega Franco Gentile, presidente della Cna di Brindisi – l’articolato sistema di imprese appaltatrici locali dell’indotto diretto e indiretto, ha iniziato a scricchiolare producendo, nel corso degli ultimi  anni, la chiusura di molte imprese ed il conseguente dimezzamento della forza lavoro nell’area  industriale di Brindisi. L’aspetto assolutamente sorprendente in termini negativi è che in questi anni, pur avendo deciso  di cambiare il modello di sviluppo del territorio che ospita una centrale termoelettrica, non c’è stata una contestuale programmazione di sviluppo alternativo e di riconversione industriale, in maniera tale da governare la trasformazione delle imprese e la riqualificazione dei lavoratori, puntando su  investimenti realizzabili in tempi brevi in linea col nuovo modello di sviluppo. Si è  preferito far finta di non vedere ciò che stava accadendo e si è lasciato che la situazione degenerasse sempre di più per poi rendersi conto che, a breve, diventerà ingestibile”.

Per Gentile ci sarebbe un modo per recuperare: “Bisogna partire dallo sblocco di tutte le opere ferme da troppo tempo a causa di lungaggini burocratiche – aggiunge – e che potrebbero  essere cantierizzate nell’immediato; una tra queste è la costruzione della centrale turbogas a Cerano, il cui iter autorizzativo è impantanato nei meandri della burocrazia dei ministeri competenti. Ciò rappresenterebbe un polmone per le imprese, beneficiando di un periodo di respiro grazie alle  attività di costruzione  dell’impianto il quale, ovviamente, dovrà essere realizzato assolutamente sul  territorio e dalle imprese del territorio, in attesa dell’attuazione di interventi strutturali legati alla  transizione energetica e, dunque, facendo adesso ciò che doveva essere fatto sin dall’inizio del  processo di trasformazione. Uno dei temi ricorrenti di questi giorni è  la volontà di puntare molto sull’idrogeno, ma i tempi per  la sua concretizzazione sono estremamente dilazionati e quindi può essere considerata una  soluzione a lungo termine, certamente non idonea per far fronte alla crisi già in atto. Il problema-Brindisi (perché tale va considerato) merita, una attenzione diretta da parte del governo nazionale e di quello regionale se si vogliono evitare ripercussioni gravissime, i cui effetti  potrebbero risultare ingestibili”.

Lucia Portolano

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