Ecco perchè i giudici hanno condannato Vantaggiato: le motivazioni

BRINDISI- Lucido, determinato, con lo scopo preciso, anche se non raggiunto, di recare grave danno alla nazione, colpendo genericamente “il sistema”. Sono, questi, i tratti salienti delle motivazioni della sentenza a carico di Giovanni Vantaggiato, il killer di Copertino che, il 19 maggio 2012, fece esplodere un ordigno nei pressi dell’istituto superiore “Morvillo-Falcone” di Brindisi, causando la morte della 16enne mesagnese Melissa Bassi e il grave ferimento di altri 9 fra ragazzi e ragazze che passavano di lì quella maledetta mattina.

Giovanni Vantaggiato è stato condannato per la strage alla scuola Morvillo Falcone: ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi, riconosciuta anche l’aggravante terroristica. 

Così come avevano chiesto i pm della Dda di Lecce, Cataldo Motta e Guglielmo Cataldi, anche se nella richiesta l’isolamento diurno era per tre anni. Con il riconoscimento dell’aggravante terroristica le ragazze potranno avere accesso al fondo per le vittime di terrorismo. Mentre questo, per Vantaggiato, significa non avere sconti in carcere, né permessi.

«Va, innanzitutto, ribadito che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato, da nessun elemento di prova può desumersi, anche in via meramente dubitativa, che il Vantaggiato abbia commesso tutti i reati contestati senza avere la capacità di intendere e di volere per una qualche infermità». Il primo punto da sottolineare nelle motivazioni è la lucidità del killer. È da escludere, per i giudici, qualsiasi tipo di vizio mentale che possa aver limitato la capacità del reo confesso di agire in piena coscienza al momento dei fatti contestatigli. «Non vi è dubbio che il Vantaggiato abbia compiuto atti non limitati ad offendere soltanto la vita di una singola persona ma tali da porre in pericolo la pubblica incolumità ed abbia agito con la volontà di cagionare la morte di un numero indeterminato di persone». Con questo passaggio, atto a motivare la condanna per strage inflitta all’uomo, i giudici componenti il collegio, il presidente Domenico Cucchiara e il giudice a latere Francesco Aliffi, sottolineano l’intenzione di Vantaggiato di non colpire una vittima o un  gruppo di vittime in particolare ma, sostanzialmente, di mettere in piedi un’azione che mirasse a fare più danno possibile, anche in termini di vite umane, come dimostrato dall’estrema perizia della sua condotta nel costruire, piazzare e azionare l’ordigno.

Altro punto caldo su cui tanto si è discusso in fase di dibattimento è stata l’aggravante di terrorismo, chiesta a gran voce dai pm Motta e Cataldi, e riconosciuta dalla sentenza del 18 giugno scorso. «Vantaggiato – si legge nelle 103 pagine della sentenza – ha perseguito non obbiettivi di vendetta personale o di ritorsione, come nel caso del tentato omicidio di Cosimo Parato (il socio in affari quasi ucciso dall’esplosione di una bomba nascosta in una bicicletta nel febbraio 2008, a Torre Santa Susanna, ndr) palesemente incompatibili con le finalità di terrorismo ma ha escogitato e portato ad esecuzione una strategia criminale diversa e perfettamente compatibile con quella considerata, anche tradizionalmente, di tipo “terroristico”».

Insomma, l’attentato alla scuola “Morvillo Falcone” ha compromesso per un periodo di tempo considerevole l’immagine dell’Italia nel mondo; ha inciso sul funzionamento degli apparati dello Stato preposti alla sicurezza pubblica; ha provocato un obiettivo effetto intimidatorio e una situazione di grave allarme della popolazione esteso non solo alla città di Brindisi ed ai comuni circostanti ma all’intera regione Puglia ed a tutta la nazione. Tutti effetti, questi, perfettamente inscrivibili nei risultati di un’azione terroristica “tradizionale”.

«La finalità terroristica è, infine, confermata – spiegano i giudici – dal carattere “dimostrativo” attribuito all’azione stragista dal suo stesso autore sia nella fase delle indagini preliminari sia in dibattimento. Infatti, l’azione “dimostrativa” è espressione di una logica che comporta la volontà di intimidire in quanto con tale gesto l’agente “dimostra”, manifesta, fa intendere di avere le capacità operative idonee a mettere in atto le minacce e di arrecare i danni programmati».

Una logica stringente, quella del collegio giudicante, che ha sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio messo in piedi da Motta e Cataldi, dopo l’enorme lavoro d’indagine svolto dal pool interforze, composto da nuclei scelti di carabinieri e polizia, il quale ha permesso di consegnare alla giustizia in un tempo record e al di sopra di ogni ragionevole dubbio il colpevole di uno dei delitti più incomprensibili ed efferati della storia italiana.

 Maurizio Distante

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