I frati Cappuccini lasciano l’Ave Maris Stella, il vescovo: “C’è crisi delle vocazioni”

BRINDISI- Crisi delle vocazioni, i frati Cappuccini lasciano il convento del Casale e la parrocchia dell’Ave Maris Stella sarà gestita dall’Arcidiocesi. Dopo 74 anni i Cappuccini lasciano Brindisi, un pezzo di storia che si chiude ed una comunità, quale quella del rione Casale che perde un punto di riferimento. A dare la notizia in un incontro con i fedeli della stessa chiesa è stato martedì scorso proprio il vescovo  monsignor  Giovanni Intini. “Ho voluto io questo incontro , perché la notizia si sta diffondendo- ha detto- c’è smarrimento , delusione perché per tanti anni i Cappuccini sono stati punto di riferimento non solo per il quartiere del Casale ma anche per la città, considerata anche la presenza di San Lorenzo da Brindisi. Ho chiesto quindi di incontrare la comunità per dire che è vero che c’è questa decisione da parte dei frati Cappuccini ma la Diocesi c’è, non è assente, il vescovo non è assente,  ed ha preso in mano sin dal primo momento questa situazione. Perché il vescovo ora provvederà a nominare un parroco nello stesso momento in cui ci saranno le nuove nomine della diocesi di Brindisi e Ostuni. Era un incontro di rassicurazione. Nessuno sarà lasciato solo”. La presenza dei frati nella città di Brindisi è legata alla storia della stessa comunità. I frati cappuccini giunsero a Brindisi nel 1566 su invito dell’arcivescovo Giovanni Carlo Bovio e costruirono un convento dentro la città, ma «…in una parte remota di essa, presso il Torrione di San Giacomo per menar più commodamente la vita solitaria (…), lontana dal commercio delle genti». Il convento, intitolato all’Annunziata, venne abbandonato pochi anni dopo, nel 1577, secondo alcuni perché, essendo troppo vicino alla città, non permetteva ai frati di osservare la propria Regola, secondo altri per l’aria insalubre della zona, a quell’epoca, paludosa. Due anni dopo, quel convento fu assegnato «dalla città» ai frati di san Francesco di Paola. Nel 1588 i Cappuccini ritornarono a Brindisi e costruirono un altro convento «contiguo alla Protocattedra di San Leucio fuora dalla città», su un suolo donato loro dall’Università e grazie al contributo dei fedeli. La chiesa, intitolata a S. Maria della Consolazione prima e alla SS.ma Resurrezione dopo, venne costruita sulle fondamenta di una cappella dedicata anticamente a S. Maria della Fontana, inglobandone un antico affresco della Vergine con il Bambino, ancora oggi visibile. Nella costruzione della chiesa e del convento, «eretto secondo la povera forma cappuccina, con 20 celle», i frati seguirono scrupolosamente le modalità indicate nelle Constitutiones del 1575 del loro Ordine. Essi vissero tranquillamente nel convento, sostenendosi con il lavoro quotidiano e grazie alla carità del popolo e alle sovvenzioni dell’Università, fino al travagliato periodo della soppressione degli Ordini religiosi. Il loro convento, rimasto escluso dalla prima soppressione, non riuscì a sfuggire alle leggi soppressive promulgate dopo l’Unità d’Italia. Il 7 aprile 1867 il Consiglio comunale chiese «al Governo la cessione gratuita dei locali del soppresso convento dei Cappuccini» per ospitare l’ospedale colerico. I frati furono costretti a lasciare definitivamente il convento che nel 1934 fu poi consegnato, insieme con la chiesa, alla Fondazione dell’ospedale provinciale Antonino di Summa. Solo nel 1949 i cappuccini riuscirono a tornare nella città natale di san Lorenzo, così come auspicato fin dal 1919 dal generale dell’Ordine che pregava il ministro provinciale di Puglia di poter tornare quanto prima nella città natale di san Lorenzo. Nel 1949, infatti, l’arcivescovo Francesco de Filippis affidò loro la parrocchia Ave Maris Stella.  Tuttavia monsignor Intini dice anche : “E’ una presenza che viene meno quella dei Frati Cappuccini, per fortuna direi non viene meno la presenza francescana, perché ci sono i Frati Minori in città per cui il carisma francescano viene comunque conservato, è chiaro che è una perdita , è una mancanza comunque dobbiamo renderci conto del tempo che stiamo vivendo, se i frati sono arrivati a questa decisione non è che è successo qualcosa e se ne vogliono andare da Brindisi ma perché le vocazioni sono venute meno”. Quindi alla base di questa scelta c’è il drastico calo delle vocazioni, un problema che la città di Brindisi aveva già affrontato negli ultimi anni quando il seminario dedicato a Benedetto XVI è rimasto vacante tanto da indurre la Curia nell’ultimo anno a cambiarne la destinazione. “C’è un calo enorme delle vocazioni sia nell’ambito della vita religiosa ma anche nell’ambito della vita dei sacerdoti diocesani- spiega Intini- Nel nostro seminario di Molfetta , dove io ho studiato e sono stato educatore , abbiamo toccato sempre 180, 200 ragazzi di tutta la regione, l’anno prossimo ce ne saranno 60. Il che ci dice che c’è una grossa crisi di vocazioni e quindi i frati nel loro campo hanno dovuto prendere questa decisione perché devono razionalizzare le presenze , ci sono anche molti frati di una certa età che non possono più da soli portare avanti la responsabilità delle parrocchie . Così hanno voluto fare questa scelta,  perché hanno voluto privilegiare quei luoghi dove loro non hanno parrocchie ma hanno altre attività extra. Che la vita religiosa in questo caso non è specifica per la vita della parrocchia, sono delle cose rientrate nel corso degli anni, ma di per sé la vita religiosa ha un altro indirizzo rispetto alla vita del sacerdote diocesano quindi questa è una decisione dovuta anche a questa grossa crisi vocazionale”.  Non ci sono dunque frati a sufficienza perché l’Ave Maris Stella possa proseguire nella tradizione, ma anche il numero dei preti sta calando vertiginosamente. “Sul  calo delle vocazioni la chiesa si sta interrogando, sta facendo un’analisi. E’ evidente che ci sono delle cose che vanno cambiate, perché non è possibile avere degli standard e dei modi di fare di 50 anni , o di un secolo fa- dice il vescovo con estrema franchezza-  Poi c’è anche la bassa natalità, ci sono stati anche gli scandali che hanno attraversato la vita del clero, ci sono anche i giovani che hanno un altro tipo di formazione ed orientamento. Perché la nostra fatica di chiesa è proprio di parlare ai giovani, e forse c’è anche una nostra  stanchezza, parlo di noi vescovi, sacerdoti,  che ci fa perdere l’entusiasmo. Le vocazioni camminano anche sulla nostra testimonianza di entusiasmo”.

Lucia Pezzuto per Il7Magazine

 

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