L’intervento dei giovani avvocati all’inaugurazione dell’anno giudiziario: “la nuova riforma non garantisce i diritti”

INTERVENTO/  Eccellentissimo Sig. Presidente della Corte d’Appello, Eccellentissimo Sig. Procuratore Generale, Onorevole rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, Onorevole rappresentante del Governo, Illustrissimo Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, Illustrissime Autorità, Signori Avvocati, Signori Magistrati porgo a Voi il saluto dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, che ha scelto di far sentire la propria voce senza alcuna pretesa di voler spiegare la complessa situazione della giustizia in Italia o in questa Corte di Appello, ma con l’intento di favorire, a tutte le istituzioni presenti, anche il punto di vista di quella giovane avvocatura che tutti i giorni si misura con questo sistema nelle aule e nei corridoi dei palazzi di giustizia. Ormai sono alcuni anni che la giustizia viene valutata sui numeri, sull’efficienza, sulla rapidità, attraverso un cronico abuso di termini del tutto sganciati dagli ideali che conosciamo, tra i quali ci permettiamo di ricordare la parola “smaltimento” che nella nostra quotidianità tutti abbiniamo a cose ben meno nobili dell’amministrazione della giustizia nel nostro paese. E’ ben comprensibile che una giustizia lenta, inefficiente e carente non potrà mai essere accolta con favore dalla cittadinanza e dalla comunità Europea che, ai giorni nostri, detta i ritmi dell’amministrazione della cosa pubblica di ogni singolo Stato, ma la storia ci impone di far sì che tutto questo resti sempre strettamente legato al vero fondamento del nostro ordinamento, e cioè alla tutela dei diritti riconosciuti dalla legge. In questa direzione dovranno essere indirizzati i nostri sforzi, ma soprattutto quelli di una politica chiamata oggi ad un reale intervento sistemico, che, purtroppo, le sbandierate prossime riforme non sembrano portare in dono. Nel discorso pronunciato da AIGA lo scorso anno ci eravamo soffermati sulla necessità di un effettivo “bisogno e desiderio di cambiamento del sistema Giustizia”, sentimento però cui contrastava l’assenza di una visione d’insieme, frutto di un vero confronto tra coloro che toccano la quotidianità con mano. Oggi non possiamo negare che il confronto all’Avvocatura sia stato garantito nella forma, ma spesso negato nella sostanza da parte della politica che persegue, con ostinata convinzione, l’obiettivo di rispettare presunti accordi elettorali con i cittadini e/o contratti di governo col rischio di non riconoscere le reali necessità della collettività. Le riforme come quella appena introdotta sulla prescrizione, i cui effetti sono stati rinviati al 2020, non trovano alcun positivo riscontro nell’avvocatura, giovane e non, così come nella magistratura e nell’ accademia, tutte componenti che hanno evidenziato i rischi di una normazione legata più alle esigenze del momento, anziché alla crescita sociale e culturale della comunità. Una simile riforma espone l’imputato (assolto o condannato) al rischio concreto di subire un processo “senza fine” che, nei giudizi successivi a quello di primo grado, potrebbe, con altissima probabilità, rallentare in assenza del deterrente della prescrizione, che come noto agli “addetti ai lavori” oggi determina la priorità nella fissazione delle udienze in appello e in Cassazione. Sempre in campo penale, la Legge 1 dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, noto come decreto sicurezza, ha introdotto un pericoloso taglio trasversale dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato. La modifica introdotta, che obbligherà l’avvocato ad effettuare un vaglio ex ante sull’ammissibilità dell’impugnazione che risulta alquanto difficoltosa, se non addirittura impossibile, determina un evidente compressione del diritto alla difesa sancito dall’articolo 24 della Costituzione, allorquando prevede l’esclusione della liquidazione dei compensi per le impugnazioni definite inammissibili, col solo fine di dissuadere la proposizione delle stesse, dando vita così ad un rischioso passo indietro sul piano dell’effettività delle garanzie riconosciute (o da riconoscere) a tutti i cittadini. Non possiamo dimenticare anche le nuove norme sulla legittima difesa, tutt’ora in discussione in Parlamento, che si inseriscono nel solco di quelle iniziative di chiara matrice simbolica finalizzate a garantire un riscontro elettorale ad una parte politica, senza alcun effettivo confronto sul superamento di alcuni principi (vedi la proporzionalità tra azione e reazione) che il Giudice dovrà comunque accertare in concreto. Per quanto concerne la paventata riforma della procedura civile, tutta l’Avvocatura, unita, ha precisato che le nuove formule proposte, o l’unicità dell’atto introduttivo, non costituiranno la panacea di tutti i mali. Ci saremmo aspettati, tra le possibili soluzioni di un disagio ormai universalmente avvertito, una effettiva implementazione delle forme di risoluzione alternative delle controversie ed un efficace sistema di deflazione fiscale per i privati che scelgono le ADR al posto del ricorso alla giustizia ordinaria. L’arretratezza del nostro sistema giustizia, sia civile che penale, non è certo diretta conseguenza dei troppi ricorsi, favoriti, a detta di alcuni, dagli stessi avvocati, o dell’eccessivo carico di ruolo o della lamentata lentezza dei magistrati, quanto invero di una inaccettabile, ma sanabile, carenza di organico dei nostri Tribunali. E’ noto che nella legge di bilancio appena approvata sono stati previsti degli investimenti in questo senso, che però porteranno i propri effetti benefici non prima di un quinquennio, a voler rimanere ottimisti, interventi che implementeranno finalmente le piante degli assistenti giudiziari e dei magistrati, con proficui benefici soprattutto per i Tribunali c.d. di provincia che non passeranno agli onori della cronaca solo per deficienze o difficoltà di formazione dei collegi dovute, spesso, a causa dei continui trasferimenti dei magistrati, le cui regole andrebbero finalmente meglio regolate. Occorre poi garantire la sicurezza all’interno dei palazzi di giustizia. Una nazione che non è in condizione di proteggere i luoghi dove la giustizia è amministrata è un paese vulnerabile, fragile, facilmente soggetto alle aggressioni di chi, spesso, non ha oramai più nulla da perdere. Nel corso degli ultimi anni, le modalità di accesso agli uffici sono diventate sempre più rigorose e numerosi palazzi di giustizia si sono dotati, oltre che di personale di vigilanza armata, anche di metal detector; tuttavia, pur apprezzando quanto realizzato finora, AIGA ritiene necessari ulteriori passi avanti sul tema della sicurezza negli uffici giudiziari, estendendo il ricorso ai metal detector alle sedi di Corte d’Appello, ai Tribunali dei Minorenni, ai Giudici di Pace, intensificando i controlli anche a campione all’interno degli uffici, sensibilizzando tutti i protagonisti della realtà giudiziaria, senza distinzione alcuna. Comprendiamo bene che, soprattutto nei grossi uffici giudiziari, un controllo approfondito comporta un ostacolo fisico all’accesso, ma è un sacrificio al quale dobbiamo soggiacere per garantire la nostra incolumità e la serenità del lavoro quotidiano. Dinanzi a questo quadro, paradossalmente assistiamo, invece, a difficoltà di accesso agli uffici da parte dei soggetti portatori di handicap, perché coesistono barriere architettoniche che, per la complessità di alcuni uffici, è difficile rimuovere completamente. L’emergenza, ormai cronica, in cui versa la giustizia italiana impone a tutte le componenti di interloquire al fine di trovare soluzioni condivise che non possono essere esclusiva di pochi, seppure legittimati, ma che devono coinvolgere il maggior numero di protagonisti tra coloro che, quotidianamente con spirito di sacrificio, cercano di garantire la tutela dei diritti nel nostro paese. Già l’anno scorso abbiamo denunciato come la mancanza di coesione dei soggetti chiamati ad occuparsi della Giustizia, di una dichiarata comunione di intenti, trasmetta forte incertezza nel tessuto sociale ed economico della collettività, con conseguente delegittimazione del ruolo dell’avvocatura, accentuato dalla negazione di una remunerazione giusta e sicura del proprio lavoro, spesso dovuta ad eccessivi ribassi applicati nelle liquidazioni giudiziali dei compensi. La rivoluzione, che spesso alcuni esponenti della politica richiamano nei propri interventi spesso assimilabili a spot elettorali, deve essere prima di tutto culturale, con un concreto ritorno all’esaltazione dell’etica, sia politica che professionale, della competenza, dell’equa remunerazione del lavoro senza farsi abbindolare dai falsi miti del mercato e della concorrenza perfetta, quest’ultima, peraltro, da sempre garantita, grazie all’indiscriminato accesso agli albi, nelle professioni che, proprio per questo, vengono definite “libere”. Anche per quest’anno non ci limitiamo a disegnare un quadro tragico della giustizia italiana, ma ci spingiamo oltre cercando di evidenziare gli obiettivi concreti da perseguire, ognuno per le proprie competenze: investimenti per un completamento del processo di telematizzazione, con l’estensione al contesto penale ed a quello degli Uffici del Giudice di Pace, formazione di GOT e Giudici di Pace, snellimento e maggior finalizzazione delle procedure di ADR, ampliamento delle sfere di competenza e di riserva della professione di avvocato. La strada è lunga e tortuosa, ma come giovani dobbiamo avere il coraggio di imporci nel presente per migliorare il futuro, assumendoci anche le nostre responsabilità affinchè anche nel nostro ordinamento si possa concretizzare quel diritto che è da sempre la base di ogni società civile.

Francesco Monopoli, presidente Aiga Brindisi

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