“Maledizione Ilva”: l’ instant book per Panorama scritto da un giornalista brindisino

BRINDISI- Un giornalista brindisino che racconta Taranto e Brindisi, due comunità  diverse ma legate da un unico filo: la lotta continua tra salute e lavoro. Un compromesso che le due città per anni hanno dovuto accettare, digerire. Ma qualcosa sta cambiando. Marino Petrelli racconta questi anni, un movimento di coscienze, l’intervento della magistratura e i vuoti dello stato. Lo fa in un instant book per il settimanale Panorama. Ci descrive il suo lavoro giornalistico in questa sua presentazione.

” Quando, da Roma, si arriva in Puglia in aereo è facile apprezzare la bellezza dei due mari che bagnano questa terra baciata dal sole e dal vento. A destra, lo Jonio e il Golfo di Taranto. A sinistra, l’Adriatico e la purezza delle acque cristalline di Torre Guaceto, l’oasi protetta a nord di Brindisi. Allargando lo sguardo dal proprio finestrino, è altrettanto facile distinguere lo stabilimento dell’Ilva e una nuvola bianca che avvolge Taranto, la “città dei due mari”. Una nuvola di inquinamento e di morte, un alone negativo che attanaglia l’acciaieria più grande d’Italia. Quasi una maledizione, tra sequestri della magistratura, trombe d’aria, morti sul lavoro, cassa integrazione, commissariamento e dati preoccupanti sull’inquinamento ambientale e sull’aumento di tumori e altre patologie. Tutto questo, e altro, è presente in “Maledizione Ilva”, un instant book di ricostruzione giornalistica che ho appena finito di scrivere per il settimanale Panorama. Sulle vicende dello stabilimento tarantino la parola fine appare ancora molto lontana dall’essere scritta e l’intero mercato siderurgico italiano rischia di subire un crollo verticale e, forse, irreparabile. Taranto e l’Ilva, l’Ilva e Taranto: un rapporto strettissimo, fatto di amore, odio, intrecci, paure, speranze per un futuro migliore. Uno sguardo al passato, che ha reso Taranto la città più industrializzata dell’Italia meridionale, ma anche la più inquinata da almeno dieci anni a questa parte. E le preoccupazioni per un futuro nebuloso, stretto nella morsa del commissariamento “imposto” dal Governo e le bonifiche obbligatorie da compiersi il prima possibile. Storia recente che parte però da lontano. Esattamente dal 1905 quando venne fondata la Società anonima Ilva, l’antico nome latino dell’isola d’Elba, da dove si estraeva il minerale di ferro. Storia che negli anni ’60 e ’70 conobbe il periodo più florido, quando si pensò che bastava costruire con denaro pubblico due fabbriche gigantesche, una a Taranto e un’altra a Brindisi, riempiamole di operai, e così trasformando la Puglia nella regione più industrializzata del sud Italia. Le cose non andarono proprio così, né a Taranto e neppure a Brindisi. E sappiamo molto bene quanto la nostra terra sia martoriata, tradita dalle aspettative verso il Petrolchimico e inquinata dalle due tristemente note centrali a nord e sud della città. Taranto e Brindisi, due facce della stessa medaglia. Due città deluse nelle loro aspettative e ora, forse, fortemente compromesse nella loro struttura, nel loro dna, nella loro vita quotidiana. Secondo l’indagine “Sentieri”, coordinata dall’Istituto superiore di sanità mettendo a confronto i dati di 44 siti inquinanti in Italia, a Taranto il tasso di mortalità è superiore alla media nazionale del 15 per cento, addirittura del 30 per cento per il tumore al polmone. Indagine che, da sola, non serve a capire quello che sta succedendo (nel libro scrivo che l’inquinamento è anche colpa dell’Ilva, non solo colpa dell’Ilva), ma che aiuta ad aprire uno squarcio nel velo di omertà che per troppi anni ha caratterizzato il tessuto sociale di quello stabilimento e di una città intera. Risvegliatasi una mattina di agosto del 2012 grazie all’operato della magistratura che, sostituendosi allo stato, ha deciso di aprire un’inchiesta che, mese dopo mese, ha fatto luce, ha chiarito, ha messo in galera i vertici e non solo. Giusto o sbagliato che sia, i magistrati tarantini si sono fatti carico di indagare e vigilare. Ora tocca allo stato fare il resto, garantendo l’occupazione e la salute. Taranto, ma non solo. Ci sono oltre 60 fabbriche italiane dove ci si ammala per l’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali. Per un costo complessivo, per i cittadini europei, di quasi 169 miliardi annui. Lo stabilisce il rapporto 2011 dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) sull’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali in Europa, secondo il quale nella lista dei 622 siti più “tossici” del continente, almeno 60 sono del nostro paese. Il triste primato non spetta all’Ilva di Taranto, ma alla centrale Enel termoelettrica a carbone “Federico II ” a Cerano, pochi chilometri a sud di Brindisi, la seconda più grande del paese dopo quella di Civitavecchia. Cambiare si può, si deve. Nel libro faccio riferimento al “risveglio delle coscienze” a Taranto e a Brindisi. Ma si deve andare oltre. Si deve bonificare e riconvertire, si deve dare certezza del lavoro e contemporaneamente della salute, si deve offrire migliore alle nuove generazioni. Perché il nostro territorio torni a essere apprezzato per la bellezza dei due mari, del mare, del sole. Come quando si è ancora in volo e si guarda la nostra terra dall’alto”.

Per scaricare Maledizione Ilva : http://magazine.panorama.it/instant-book/ilva-taranto-crisi-stabilimento-acciaio

BrindisiOggi

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*