Marchionna: “Chi critica le “sagre paesane” offende la cultura popolare”

INTERVENTO/ Una recentissima indagine della maggior società di ricerche sociali e di mercato del Paese, Eurisko, sui nuovi trend italiani ha rilevato un sostanziale cambiamento degli individui: oggi le persone sono più istruite, critiche, curiose e pretendono etica e quindi sostenibilità ambientale, sociale, culturale, economica. In un solo concetto: cercano progetti di vita.

E’ da questo approccio che stanno nascendo culture, valori e consumi nuovi.

Non è, come si potrebbe pensare, solo il mero calcolo economico a ispirare le scelte, bensì i bisogni crescenti di benessere e soddisfazione: dal cibo alla tecnologia, c’è bisogno di simboli, esperienze, icone emotive forti.

Questo bisogno di esperienza si esprime nella ricerca di sensorialità e di emozioni e nel bisogno di essere coinvolti e di partecipare, entrambi tesi all’arricchimento del sé e al raggiungimento di una condizione di benessere.

In sostanza, si sta attuando il passaggio dal concetto di consumo di prodotti e servizial più complesso approccio di fruizione di esperienza.

In questo quadro è necessario quindi tornare a radicarsi nel territorio e nelle culture locali, rendersi utili alle persone aiutandole a crescere, proporre emozioni autentiche, valori forti, etica.

E occorre anche essere più flessibili nell’offerta, sia semplificandola (e abbassando i prezzi), sia arricchendola di nuovi contenuti distintivi, giacché i bisogni vanno intercettati anche quando non sono esplicitamente formulati.

Questa lunga premessa era necessaria per entrare nel vivo della virulenta polemica scoppiata sul caso del Ceglie Food Festival 2013.

Da tempo ormai nell’ambiente dell’enogastronomia ci si interroga su dove stia andando la critica di settore e, soprattutto, su che futuro abbia. La colpa, in primis, non è di Internet, dove chiunque può scrivere – più o meno legittimamente – qualsiasi cosa e diventare critico gastronomico da un giorno all’altro.

La colpa – probabilmente – è in quella cultura “delle guide enogastronomiche” che è diventata il nuovo “Dio” contemporaneo, che è arrivata ad influenzare gli stili e le mode, indicando i piatti che non possono mancare se si vuol essere uno chef d’haute cuisine, dettando la disposizione delle porcellane in tavola e così via. In questo scenario, i clienti non sono più trattati come tali, ma sono considerati solo spettatori che si devono ritenere onorati e fortunati di poter assistere allo spettacolo artistico offerto dagli chef.

Questa espressione di cultura gastronomica “alta”, rappresentata da antichi cenacoli e da nuove confraternite, è riservata a ristrette élites intellettuali, presso le quali la gastronomia si fa raffinato status symbol per pochi accoliti e per illuminati e ricchi buongustai.

E’ proprio questa cultura gastronomica “alta”, appannaggio esclusivo di piccole enclave autoreferenziali, quella che bolla come sagra paesana (sottintendendo l’aggettivo volgare) le manifestazioni spontanee della cultura popolare, che hanno visto negli ultimi anni accentuarsi l’attrattiva per tutto ciò che riguarda l’enogastronomia e il gusto.

Appare invero paradossale che tale considerazione di preconcetta subalternità persista ancora in epoche di globalizzazione ed omologazione anche alimentare, tempi nei quali i distinguo tendono ad appannarsi nella rinnovata tensione verso stilemi enogastronomici che riscoprono il “gusto popolare”, gli antichi sapori, il senso del genuino e del tipico, insieme ad una certa propensione a formare ed educare al gusto.

In questo senso ci è sembrato quindi più opportuno considerare il Ceglie Food Festival come un fenomeno complesso, nel quale si fondono variabili socio-culturali e dimensioni economiche, tradizione ed innovazione, valenze simbolico-rituali e revival folclorici, marketing territoriale e turismo del gusto: esso è in sostanza un’oggettiva occasione di socializzazione collettiva e di mobilitazione di masse che fanno strada ad un nuovo modello di sviluppo locale centrato sulle componenti simboliche, relazionali e di creatività che ruotano attorno alla cultura culinaria.

E’ per questo che mi permetto di suggerire ai tanti critici delle sagre enogastronomiche una lettura sociologica dei fenomeni imprenditoriali innovativi, interessandosi in particolare a quelle manifestazioni – come il Ceglie Food Festival – concettualmente ed empiricamente riconducibili alla sfera simbolico-produttiva del gusto.

Lo scopo di questa modesta perorazione in favore delle sagre popolari vuole essere, in ultima istanza, quello di contribuire a definire una via di sviluppo integrato con la fenomenologia sociale ed economica correlata alla sfera produttiva del gusto, che presuppone un’attenta valorizzazione delle produzioni tipiche enogastronomiche, della ricettività, dell’estetica dei luoghi e degli oggetti, dei modi di produrre e di comunicare il territorio.

Quello che l’Associazione Negroamaro Wine Festival sta cercando di elaborare consiste proprio in questo: un lavoro di ricognizione etnografica che sta portando a riconoscere all’interno di questo territorio la presenza di rilevanti dinamiche di cambiamento socio-economico proprio nei settori di interesse: l’agro-alimentare, la produzione vitivinicola, l’enogastronomia e la ricettività turistica.

A segnalarlo insistono diversi elementi: la recente ripresa e diffusione capillare sul territorio di attività di produzione, lavorazione e commercializzazione dei prodotti agricoli; l’apertura di un numero piuttosto consistente di agriturismo e di strutture ricettive di tipo nuovo (dai bed & breakfast ai modelli emergenti di albergo diffuso); il caratterizzarsi e ampliarsi di fenomeni enogastronomici tradizionali come le sagre e le feste di paese e di eventi a carattere innovativo come le vetrine dei prodotti locali; l’affacciarsi di una generazione nuova di operatori ed imprenditori locali, interessati a pensarsi, agire e progettare localmente.

Utilizzando questo approccio concettuale l’Associazione Negroamaro Wine Festival sta progressivamente identificando ed elaborando la presenza di una rete relazionale, produttiva e sociale, incentrata sulla dimensione del gusto, che si fonda sull’esistenza di imprese di tipo nuovo, aperte, flessibili, votate all’innovazione economica e che agiscono sempre di più sull’immateriale.

Ciò consente l’attivazione in senso economico e sociale delle risorse enogastronomiche, culturali, ambientali e paesaggistiche locali, che preludono al rafforzamento di valori e modalità attraverso le quali il settore del gusto va costituendosi come uno dei possibili motori del cambiamento socio-economico territoriale.

 “Last but not least”: la legittima passione personale per la ricerca, l’elaborazione, la sperimentazione che ognuno di noi può coltivare in ambito enogastronomico non può essere confusa con la rigorosa analisi dei fenomeni culturali, sociologici ed economici contemporanei. Se poi questa confusione spinge a cadere nell’incontrollato impulso alla polemica astiosa, volgare ed un filino irriguardosa, il fatto rischia di essere interpretato come sintomo grave di delirio solipsistico.

Per il rispetto e la stima che abbiamo delle persone facciamo finta di non aver letto buona parte delle contumelie indirizzateci. Ma all’ultima domanda intendiamo rispondere: qual è il prezzo della nostra anima? Praticamente inestimabile …

Pino Marchionna

Segretario Associazione Negroamaro Wine Festival

 

4 Commenti

  1. Egregio sig. Perrucci, ha perfettamente ragione sull’ignoranza!! Infatti le chiedo di informarsi presso la Camera di Commercio di Lecce, provincia in cui le sagre hanno avuto uno sviluppo enorme, e si renderà conto del danno econico e ambientale che producono le suddette.
    Ps. Ora si dice connetti il cevello prima di parlare.
    Cordialità

  2. Erano diversi anni che non leggevo uno scritto di Giuseppe Marchionna e devo dire che si conferma, non si tratta di servile adulazione, avere una marcia in più. Nel merito di ciò che afferma su sagre e feste, non si può non confermare la giustezza degli argomenti a sostegno della validità di questo enorme segmento artistico-culturale-gastronomico-folcloristico-popolare che, di fatto, per moltissime realtà pugliesi è stato miracoloso per l’economia e lo sviluppo in generale. Solo chi conosce la realtà organizzativa e la reale portata di questi eventi e le problematiche ad essa collegate può esrprimere un giudizio attendibile sul valore delle stesse. Le attività commerciali fisse, se condotte con capacità, gemialità e spirito di iniziativa non possono che giovarsene di questi eventi. E’ opportuno, come afferma Marchionna, insistere e su questo terreno, i risultati saranno senza dubbio positivi. A proposito di critiche feroci, pur non avendo letto quelle cui fa riferimento Marchionna, ma leggendo il commento di Paolo Mulello che precede, mio nonno mi diceva sempre “VAGNO’ PRIMA PENSA E POI PARLA” per dire che prima di esprimere un giudizio distruttivo comequello da lui espresso, è opportuno essere adeguatamente informati. Fa più male l’ignoranza della cattiveria.
    Giuseppe Perrucci

  3. A fronte di contributi pubblici ingenti, pagando a caro prezzo sul piano della sostenibilità ambientale e anche dal punto di vista igienico, in questi ultimi anni-almeno dieci- il fenomeno delle sagre ha inflazionato tutto il Salento. Non entro in merito dell’alta o bassa cucina, dico solo di smetterla con queste false attrazioni culturali che si rifanno alla tradizione popolare: in una sola parola ” basta parlare alla pancia” della gente se veramente si vuole cambiare.

  4. Per Cartesio, l’anima e il corpo (ovvero la RES COGITANS e la RES EXTENSA) sono due realtà (o due sostanze) ben distinte.
    Una teoria, questa, che viene ripresa da un nostro contemporaneo, Woody Allen, il quale la rimodula così: “L’uomo è composto da anima e corpo, anche se quello che si diverte di più è il corpo”.

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