Nicolina, Marcella, Mauro e le vittime brindisine di mafia ricordate da Libera

BRINDISI – La XX Giornata dell’Impegno e della Memoria ricorderà le vittime inconsapevoli della mano armata della mafia. Nomi e cognomi che, in alcuni casi, non hanno alcuna storia raccontata dalle cronache alle spalle; per altri, le vicende sono forse passate nel dimenticatoio. Libera ne ha riconosciuto il martirio e ogni anno si impegna perché la loro scomparsa non sia vana. Tra questi, ci sono molti brindisini. Ve ne proponiamo le storie.

Mesagne. Nicolina Biscozzi paga perché è con l’uomo sbagliato nel momento sbagliato. Il 22 giugno 1989 Nicolina è la compagna di Vincenzo Carone, considerato vicino ai clan di spicco nella faida per il controllo del territorio a Mesagne, quello legato a Giuseppe Rogoli e quello del suo ex braccio destro, Antonio Antonica. Nicolina e Vincenzo sono in auto insieme quando un gruppo di malviventi affianca la vettura e comincia a sparare. A soli 33 anni, Nicolina Biscozzi muore dopo un mese di sofferenze in ospedale.

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Marcella Di Levrano, morta a 25 anni

Mesagne.Marcella Di Levrano è la seconda di tre figlie. La sua è una mamma coraggiosa, che abbandona il marito violento per salvare da un futuro segnato le sue creature. Tornano a Mesagne, ma Marcella, dapprima studente modello, una sera non torna a casa. Aveva cominciato a frequentare ambienti malfamati e comincia a farsi di eroina. Entra nel giro della Sacra Corona Unita: ne comincia a scoprire gli aspetti nascosti, tiene un diario su cui scriveva tutto quello che le accadeva, tutto ciò che vedeva. Marcella, divenuta mamma, vuole uscire da quel mondo fatto di sangue e violenza, nel quale è intrappolata. Per ciò che sapeva e per quel desiderio di libertà, Marcella sparisce alla fine di marzo del 1990. Due giorni dopo, il suo corpo viene rinvenuto nel bosco dei Lucci. Il volto è stravolto dai colpi di pietra, il trattamento riservato a chi non abbassa lo sguardo. Il suo assassino non è mai stato trovato.

Torre Santa Susanna. Nicola Guerriero e Salvatora Tieni sono i genitori di Cosima e Romolo Guerriero, vittima di lupara bianca: il ragazzo è l’autista di Cosimo Persano, che insieme al clan Bruno si contende i terreni agricoli intorno al comune torrese. Romolo è uno dei 9 uomini scomparsi in circostanze misteriose a Torre Santa Susanna nel 1990. I coniugi Guerriero testimoniano contro i fratelli Bruno: è a loro che attribuiscono la scomparsa del figlio Romolo. Pagano con la vita questo affronto: l’11 agosto 1991 i due, a bordo del loro moto ape, si stanno recando in contrada Monticelli quando vengono fatti sparire. Un pentito, dopo la loro scomparsa, farà ritrovare il corpo di Romolo proprio lì, vicino al podere in cui i coniugi Guerriero erano diretti, in contrada Monticelli. Una volta diventata testimone di giustizia, la superstite Cosima entra nella protezione testimoni: sarà lei a far condannare i gli assassini dei suoi genitori.

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Mauro Maniglio, ucciso a 18 anni

Casalabate (Le). La vita di un giovanissimo studente brindisino si spezza il 14 agosto 1992: Mauro Maniglio è in giro, per le strade di Casalabate, con il cugino Giorgio. Siede sulla Honda 100 del cugino quando, all’una di notte, la moto viene bloccata per la strada: dalla vettura scende un uomo che spara due colpi, che beccano alla gola Mauro. Il cugino, per schivare il colpo, abbassa la testa. Mauro, studente modello del Liceo “Monticelli”, viene scambiato col cugino per una coppia di killer che, poche ore prima, aveva assaltato e ucciso a colpi di fucile alcuni uomini di Leverano. Uno scambio di persona che gli costa la vita.

Carovigno È il 19 Settembre 1994. Nelle campagne al confine con San Vito dei Normanni, in località Calacurto, viene ritrovato il corpo di Leonardo Santoro. Fratello di un collaboratore di giustizia, l’uomo stava aprendo il cancello della casa in campagna del padre. Un segnale per invitare il pentito a non parlare. Per il delitto Santoro, vengono condannati Salvatore Cappelli, brindisino, che per i giudici agì insieme ai pentiti Vito Di Emidio (Bullone) e Benedetto Stano (Adriano).

Fasano. Imperversa, sulle strade pugliesi, la corsa senza sosta dei mezzi dei contrabbandieri, che hanno ricominciato il loro commercio senza regole, che non si ferma dinanzi a nulla. Il 12 ottobre 1999, a causa di uno scontro tra un furgone blindato e una autovettura muore una 62enne, Anna Pace. La donna, che viaggia col marito, transitava sulla statale che collega Fasano a Locorotondo. Rimangono ferite altre tre persone.

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Alberto De Falco, 33 anni, e Antonio Sottile, 29 anni. Uccisi in servizio

Brindisi. Il 23 febbraio 2000 è scontro diretto tra Forze dell’Ordine e malavita: il contrabbando è all’apice e il punto di non ritorno si vive in quella notte di febbraio. Sulla complanare brindisina, all’altezza del santuario della Madonna di Jaddico, un fuoristrada blindato dei contrabbandieri travolge la Fiat Punto su cui viaggiano 4 finanzieri. A morire sono il vicebrigadiere Alberto De Falco, 33 anni di Rossano, e il finanziere scelto Antonio Sottile, 29 anni di Caserta. Lo Stato premia il loro estremo sacrificio con la Medaglia al Valor Civile.

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Francesco Ligorio, 18 anni, ucciso per errore

Francavilla Fontana. È l’11 novembre del 2010. Sono da poco passate le 5.30 del mattino, sulla superstrada Brindisi Taranto. Una raffica di colpi di pistola centra il passeggero di un tir in corsa: Francesco Ligorio ha solo 18 anni e probabilmente paga l’errore dei sicari, che volevano colpire il camionista Antonio Canovari, rimasto gravemente ferito e con alcuni precedenti alle spalle, come traffico di droga e ricettazione.

A queste vicende riconosciute da Libera, si aggiunge quella che, a quasi 34 anni di distanza, ancora non ha visto una soluzione. Una storia che ha quasi dell’incredibile.

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Palmina Martinelli, 14 anni. Per lei si chiede ancora giustizia

Siamo a Fasano. È l’11 novembre del 1981. Palmina Martinelli ha solo 14 anni: è una ragazzina dolce, dal viso pulito. Viene arsa viva perché rifiuta di prostituirsi. La mancanza di acqua in casa la condanna ad un lungo periodo di agonia in ospedale. Quando è in cura, a fil di voce, racconta ai magistrati cosa le è accaduto e, soprattutto, chi è stato. “Giovanni, Enrico”. Palmina muore il 2 dicembre 1981, ma quella coppia di fratellastri, di cui uno era il ragazzo per il quale Palmina aveva perso la testa, verrà prosciolta per insufficienza di prove: per i giudici, all’epoca, Palmina si suicidò per la disperazione. Negli anni si sono susseguiti appelli perché la morte della giovanissima fasanese fosse riconosciuta per quello che sarebbe stato un omicidio doloso, condotto per mano degli uomini che la ragazzina accusò in una registrazione, mai presa in considerazione dai giudici. Vittima due volte.

Agnese Poci

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