Non solo pizzini ma anche comunicazione col cellulare, nasceva in carcere la Scu 3.0: 12 arresti

BRINDISI – Mandavano pizzini e non solo, comunicavano tra loro grazie anche ad un cellulare che erano riusciti a far introdurre nel carcere. Dalle celle di Terni si davano i nuovi ordini per la nuova generazione della Scu. Antonio Campana, fratello di Francesco Campana uno dei capi della frangia storica della Scu, insieme a Raffaele Martena stavano ricostituendo e ricompattando un agguerrito gruppo criminale per il comando di Brindisi, Mesagne e Tuturano. La malavita si stava riorganizzando, così come era accaduto 25 anni fa quando Pino Rogoli fondò la Scu in carcere. Volevano gestire i traffici di droga ma anche l’estorsioni.

Gli agenti della Squadra mobile di Brindisi al comando del vice questore Antonio Sfameni questa mattina hanno arrestato 12 persone, tre erano già detenute le altre 9 libere.  Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Dai pizzini e dalla comunicazioni è emersa la volontà di Campana di voler fuggire dal carcere ma sono venute fuori anche minacce nei confronti del magistrato Alberto Santacatterina titolare non solo di questa inchiesta, ma anche della precedente a carico del detenuto. I due comunicavano non solo con gli esterni ma anche con altri detenuti che si trovano in una ventina di carceri sparse per l’Italia.

In ogni Comune della provincia i due avevano dei referenti, erano in atto anche spedizioni punitive per chi disobbediva, poi c’erano i fedelissimi. In una intercettazione uno degli arresti dice che si getterebbe dal quinto piano per ubbidire a uno dei capi.

Gli arrestati

Dei 12 arrestati per associazione per delinquere di tipo mafioso, 9 sono stati catturati e condotti in carcere. Agli altri 3, già detenuti, è stato notificato il provvedimento coercitivo direttamente presso il luogo di detenzione. In manette  Raffaele Martena, 32 anni già detenuto, Antonio Campana, 39 anni, già detenuto, Juri Rosafio, 41 anni, Igno Campana, 63 anni, Ronzino De Nitto, 43 anni, Fabio Arigliano, 47 anni, Mario epifani, 37 anni, Andrea Martena, 32 anni, Andrea Polito, 29 anni, Vincenzo Polito, 33 anni, Enzo Sicilia, 33 anni, Nicola Magli, 37 anni, già detenuto.

Martena e Campana sono chiamati a rispondere in qualità di promotori ed organizzatori dell’associazione mafiosa.

Tra gli arrestati Jury ROSAFIO,  già affiliato, è ritenuto l’attuale referente di  Martena  quindi il dirigente per suo conto della frangia dell’associazione mafiosa operante nella città di Brindisi e nella frazione di Tuturano, nonché incaricato del mantenimento dei rapporti con i clan attivi nella Provincia di Lecce.  Ronzino DE NITTO invece, componente della frangia mesagnese dell’associazione, viene individuato quale referente di CAMPANA e, per conto di quest’ultimo, promotore, organizzatore e dirigente della cellula criminale mafiosa di Mesagne.

RIGLIANO Fabio, SICILIA Enzo, MARTENA Andrea, MAGLI Nicola, POLITO Andrea, POLITO Vincenzo, tutti alle dipendenze di MARTENA Raffaele, per il tramite di  ROSAFIO Jury, ed operanti nella città di Brindisi e nella frazione cittadina di Tuturano.

EPIFANI, affiliato di ROSAFIO, suo autista e uomo di fiducia, sarebbe stato autorizzato a ricevere le comunicazioni di MARTENA dall’interno del carcere, per poi diffonderle agli altri associati.

Mentre Igino CAMPANA, zio di Antonio, sarebbe stato il suo tramite con l’esterno del carcere, quale contatto con gli associati in libertà e le istruzioni da veicolare.

Per tutti è stata contestata anche l’aggravante di appartenere ad un’associazione armata.

Perquisizioni in diverse carceri, queste  si sono rese necessarie dopo che Campana  aveva manifestato l’intenzione di evadere dal carcere, ed anche perché aveva espresso una chiara minaccia nei confronti del pm Santacatterina.

Per riuscire nel progetto di fuga, Campana era entrato a far parte di una compagnia teatrale formata da detenuti. In occasione di una rappresentazione teatrale, poi, avrebbe fatto in modo di reperire un particolare filo, capello d’angelo, che gli avrebbe permesso di segare le sbarre e tentare, così, l’evasione.

L’introduzione di questo filo diamantato, sarebbe avvenuta attraverso una cintura, indossata da un familiare del detenuto, autorizzato all’ingresso per un colloquio in carcere. Al passaggio presso il metal detector, il complice avrebbe dapprima tolto la cintura per superare il controllo, per poi indossarla nuovamente e sfilare da questa il filo, da consegnare al recluso durante il loro colloquio. Ma gli investigatori hanno fatto saltare tutti i piani.

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