Parco Bove, da stalle ad alloggi popolari, Maria: “Sessant’anni nelle baracche”

BRINDISI- (Da Il7Magazine) “Quando siamo entrati nelle baracche c’erano i ganci e i numeri per i cavalli, si sentiva ancora la puzza degli animali che fino a poco tempo prima erano stati tenuti qui. Non erano case ma stalle, uno stanzone senza un bagno, senza neppure il pavimento”. Sono gli anni cinquanta quando si trasferiscono le prime famiglie brindisine a Parco Bove, un luogo “dimenticato da Dio”, perso nelle campagne del quartiere Paradiso di Brindisi. Un agglomerato di baracche nato nel 1920 come deposito per il sale e successivamente utilizzato come rimessa per i cavalli ed altri animali. A Parco Bove per oltre messo secolo vi hanno abitato intere generazioni vissute in condizioni di estrema precarietà, nonni, padri, figli che per anni hanno lottato nella speranza di avere un alloggio popolare dignitoso. Lunedì scorso, finalmente, il Comune di Brindisi ha consegnato loro le chiavi delle nuove abitazioni ed entro la fine del mese, quando tutte le famiglie avranno lasciato le baracche, Parco Bove sarà raso al suolo, non esisterà più. Così sarà cancellata una pagina di storia del quartiere Paradiso che più di qualcuno già rimpiange.

Maria Chiarella è una tra gli abitanti storici di Parco Bove, tra qualche giorno compirà 60 anni. Lei è praticamente nata tra queste baracche perché si trasferì qui che aveva soli nove mesi. Qui è cresciuta, si è sposata, ha messo al mondo i sui figli che a loro volta hanno creato una famiglia.

“I sono arriva a Parco Bove che avevo nove mesi di vita- racconta Maria- Mia madre e i miei nonni hanno abitato prima  in centro dove ora c’è la scuola Salvemini, lo chiamavano “Il Presidio”, poi siccome si trattava di un rudere e stava crollando, si spostarono nei capannoni di Punta Penne sino a quando il Comune non li fece andare a Parco Bove”. La mamma di Maria è giovanissima quando la mette al mondo, con questa bimba tra le braccia arriva a Parco Bove ma le aspettative sono tutt’altro che rosee. “Mia madre aveva 14 anni e mi aveva appena partorita- dice Maria- A Parco Bove i miei nonni con 8 figli , tra cui mia mamma e io di nove mesi andammo ad abitare in uno stanzone che sino a poco prima era stata una stalla per i cavalli. Sul muro c’erano ancora i ganci e i numeri per i cavalli. I miei nonni piano a piano cominciarono a sistemarla. Io muovevo i primi passi e intorno a Parco Bove c’erano solo alberi e terra”. La vita in questo angolo sperduto del quartiere Paradiso è fatta di cose semplici, quasi come se fosse un posto a sé.

“Qui le donne stendevano i panni con le “forcedde”, dei pali infilati nella terra che sostenevano i fili, in alternativa c’era una ruota di legno dove si appendevano le robe ad asciugare- racconta la donna- Ho sempre giocato qui davanti con le altre ragazzine. Non avevamo molto, anzi non avevamo nulla neppure una bici. Passavamo il tempo a rincorrerci, a giocare a nascondino. La sera, poi, la nonna mi mandava a comprare la carbonella per accendere il braciere. Non c’erano i termosifoni e faceva freddo, così usavamo il braciere di ottone che spesso la nonna usciva fuori davanti casa perché poi intorno si mettevano le sedie e si trascorreva il tempo a chiacchierare con i vicini , tutti insieme, ricordo anche che si metteva un pentolino di acqua sopra che alla fine bolliva. Abbiam fatto la fame, mia nonna andava a prendere la farina con la tessera e faceva la pasta e il pane in casa mentre noi bambini giocavamo tutti insieme per strada”. Ma se da un lato la povertà li isola dal resto della città nel loro angolo di quartiere le famiglie di parco Bove si sento unite e soprattutto solidali le une con le altre.

“Trascorrevamo così il tempo, tutti insieme come una grande famiglia- dice Maria- Ad un certo punto un signore andò via da una delle baracche e disse a mia madre, che viveva ancora dalla nonna,  se voleva trasferirsi. Le diede le chiavi e mia madre con mio padre si spostarono. Io però rimasi con la nonna. La mia infanzia è stata bella , nonostante la povertà, siamo stati bene perché ci siamo sempre aiutati gli uni con gli altri come una grande famiglia. Anche io poi mi sono sposata qui, ho avuto tre figli che sono cresciuti qui. I primi anni anche da sposata sono stata con mia nonna poi si è liberata una casa affianco e mi sono spostata”. Vivere in quelle baracche per queste persone è stata una battaglia continua, l’umido, il freddo, la mancanza di un impianto che separasse la fogna dall’acqua e tante altre difficoltà.

“La nonna è morta qualche anno fa, aveva  97 anni, se ne è andata con il desiderio della casa, una vera casa, quella che lei non ha mai avuto. Purtroppo non ce l’ha fatta. Come lei tante altre persone sono morte e non hanno fatto in tempo ad avere un alloggio- aggiunge Maria-  Io non ho mai voluto lasciare Parco Bove, anche quando vedevo che gli altri avevano la casa popolare a Sant’Elia io speravo che non mi chiamassero perché non volevo andare via da questo quartiere. Oggi me ne vado a malincuore . Siamo abituati a condividere tutto a stare insieme, e quando si sposava qualcuno di noi era festa per tutti, le baracche venivano addobbate con i fiori e le macchine messe in fila davanti alla casa della sposa con i veli. Mi mancheranno queste cose ma sono consapevole che non si poteva più stare lì. Mai come quest’ultimo inverno abbiamo sofferto il freddo e l’umidità. Sino a qualche giorno fa ho preso i maglioni dai cassetti praticamente bagnati. La gente si è ammalata in queste baracche ed ora è arrivato il momento di andare via”.

Maria non è l’unica a lasciare Parco Bove con un velo di tristezza, i ricordi di questa donna sono comuni a tutti quelli che per lungo o breve periodo hanno vissuto qui. Tra questi c’è anche Enza,  59 anni, 41 dei quali vissuti proprio a Parco Bove

“Qui ho conosciuto mi marito, qui mi sono sposata e ho scresciuto i miei tre figli. Quando son arrivata era brutto, le case non erano abitabili , tanto umido, amianto ma per amore sono rimasta anche perché non c’erano le condizioni economiche per poter prendere una casa in affitto. Era triste, molto triste- dice Enza- Poi con il tempo mi sono abituata anche perché la gente qui è sempre stata accogliente, tutte brave persone. Io ho legato molto con la mia vicina di casa che oggi ha 94 anni. Lei è andata via qualche tempo fa, il Comune le ha assegnato una casa popolare a Sant’Elia.

In questi anni ci siamo sempre aiutati anche economicamente. Sono sempre stati tutti come una grande famiglia. I miei figli hanno giocato sempre vicino casa ed io ero tranquilla . Quando mi è stata data la possibilità di trasferirmi a Sant’Elia l’ho rifiutato non mai voluto spostarmi dal Paradiso. Io sono nata qui, prima di sposarmi vivevo in via Torretta, e qui che voglio morire. Questi anni , nonostante le difficoltà economiche sono stati anni belli”. Oggi Enza ha avuto in assegnazione una casa nuova, una vera casa nel complesso residenziale alla Torretta, a qualche centinaia di metri da Parco Bove. Entro fine mese dovrà trasferirsi e la donna è combattuta tra l’entusiasmo di una nuova casa e l’affetto per quelle baracche che hanno visto crescere i suoi figli. “ Mi dispiace lasciare Parco Bove ma non si può più stare, le baracche stanno crollando, la fogna scoppia di continuo, la melma esce dalla doccia e mio figlio qui si è ammalato, soffre di allergia asmatica- dice- Fino all’altra sera si festeggiava in piazza, si uscivano le sedie fuori e si stava a chiacchierare sino a notte, ora la storia di Parco Bove è finita”.

Lucia Pezzuto per Il7Magazine

 

 

 

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