Da senzatetto a primo chef di un noto ristorante, ritrovare la speranza grazie a Casa Betania

BRINDISI – (da Il7 Magazine) “Sino a due mesi fa dormivo in stazione e non riuscivo a mangiare tutti i giorni. Oggi ho un tetto sulla testa, un letto vero e l’opportunità di migliorare la mia vita” così Francesco Miceli, un uomo brindisino di 48 anni, racconta la sua esperienza a Casa Betania, un centro di accoglienza che da venti anni a Brindisi si occupa di ospitare persone in estrema difficoltà. Francesco è solo una delle tante persone che ha chiesto e ottenuto aiuto a Casa Betania. Questo luogo, dove si incrociano storie di uomini e donne , si trova in via Bruno Buozzi a Brindisi e nasce per volontà del parroco don Peppino Apruzzi in seguito alla morte di un clochard.  Casa Betania è portata avanti da volontari, vive esclusivamente di carità e di essa si occupa la Parrocchia di “San Vito Martire” del quartiere Commenda, tramite l’associazione “Compagni di Strada”.

Francesco è uno dei 16 attuali ospiti della Casa, dove quattro sono donne e dodici sono uomini, ci sono africani, albanesi, afgani e anche italiani. La storia di Francesco  è fatta di scelte sbagliate e difficili che purtroppo hanno condizionato la sua vita. Francesco sino a qualche anno fa lavorava come autista per la società di trasporti TNT , ha la patente B e prima aveva anche un casa. Poi ha deciso di lasciare il lavoro per dedicarsi al commercio. “Ho seguito i consigli sbagliati , ho lasciato il certo per l’incerto- racconta- e purtroppo è andata male. Quando ho perso tutto, lavoro e casa, mi sono ritrovato solo e sono finito a dormire in stazione”. Francesco ha provato a cercare altri lavori ma senza successo. “Sono rimasto solo ma due mesi fa ho conosciuto Casa Betania e ho ritrovato la speranza – dice – Ora mi occupo di ristrutturazioni, si tratta di lavori saltuari ma la mia idea è di andare via da qui, trasferirmi in un’altra città. Rifarmi una vita”.

Ha deciso, invece, di restare qui e realizzare il suo sogno di diventare cuoco Anuwar Khadim, 39 anni . Questo ragazzo afgano è stato ospite di Casa Betania alcuni anni fa, oggi è primo chef della Tenuta Cantagallo a Francavilla Fontana. “Ringrazio Casa Betania per avermi accolto -dice- sono stato trattato come un figlio e aiutato in tutto. Qui mi hanno trasmesso i principi più importanti della vita: il rispetto e l’educazione. Ho potuto seguire un percorso di scolarizzazione per imparare la lingua italiana e conoscere la cultura di questo paese che mi ospita”.

Anuwar oggi è uno chef apprezzato e stimato , con lui lavora anche la moglie che grazie al ricongiungimento famigliare ha potuto raggiungere l’Italia. “Sono trascorsi sette anni da quando lavoro qui al ristorante e sono felice anche di trasmettere la mia esperienza agli stagisti che vengono dall’istituto alberghiero, i ragazzi si divertono molto con me. Io di tutto questo devo ringraziare Casa Betania”.

Casa Betania, che quest’anno festeggia i venti anni di attività , ha raccolto queste storie in quattrocento scatti, quattrocento volti di persone che in questo luogo hanno trovato accoglienza e aiuto.

“E’ un traguardo importante, venti anni di attività- racconta il direttore di Casa Betania , Marcello Petrucci- in questi anni abbiamo conosciuto e aiutato tanta gente, italiani e stranieri. Qui gli ospiti non restano più di qualche mese, il tempo necessario per aiutarli a superare le difficoltà, che può essere un problema di natura economica o l’attesa per il permesso di soggiorno. I nostri ospiti hanno una camera per dormire, una sala comune, una cucina, il bagno e una lavanderia. C’è sempre un volontario a disposizione, anche la notte. Hanno colazione e cena assicurata mentre per il pranzo si recano alla Caritas”.

I volontari di Casa Betania aiutano gli ospiti a ritrovare un po’ di serenità e a risolvere i problemi legati alla burocrazia là dove si trovano alle prese con i permessi di soggiorno.

“Lavoriamo anche per l’integrazione- dice Petrucci- ogni ospite straniero frequenta la scuola per imparare l’italiano presso la Parrocchia San Vito grazie all’associazione Migrantes. Imparare la lingua è la prima cosa che si richiede ai cittadini stranieri”.

Di questi ragazzi ve ne sono alcuni poi che sono rimasti a collaborare con Casa Betania anche dopo essere andati via e aver trovato un’abitazione propria. E’ questa la storia di Aganmwoyi Osadolor, oggi presidente della Comunità Nigeria Union.

Osadolor ha 34 anni ed è arrivato a Brindisi nel 2008 con tanti altri ragazzi nel centro di Restinco. “Anche io ho sfidato la morte e quando credevo di aver trovato un po’ di pace in un contesto cittadino accogliente e in una comunità parrocchiale famigliare, senza neppure rendermi conto sono finito a Foggia, dove non c’era la possibilità di muoversi liberamente e ne tanto meno di frequentare un corso di alfabetizzazione come facevo qui. Poi alcuni volontari brindisini con una catena di solidarietà mi hanno procurato l’occasione di tornare a Brindisi per svolgere un lavoro presso la casa di un anziano signore che viveva isolato in campagna”.

Così Osadolor rientra a Brindisi e ritrova il sorriso ma non mancano le difficoltà. “Ogni domenica raggiungevo a piedi la parrocchia San Vito per seguire la messa. Ma molto presto ho dovuto lasciare il lavoro presso il signore anziano e sono rimasto senza un tetto. In quel momento mi ha aiutato Casa Betania che mi ha accolto e dove ho trovato nuovi amici. Nel frattempo avevo anche trovato un nuovo lavoro come stalliere in una masseria”. Il tempo passa e questo ragazzo non trascura neppure gli studi e riesce a prendere la licenza media e un attestato sui diritti e i doveri degli stranieri in Italia.

“Sono cresciuto molto da allora, sono integrato nella città di Brindisi- dice- e adesso sono anche presidente della Comunità Nigeria Union. Oggi lavoro come badante , ho una casa mia, una fidanzata e spero di sposarmi il prossimo anno. Sono anche io un volontario di Casa Betania e svolgo una volta a settimana il turno di notte, questi per me è importante perché posso aiutare altre persone che stanno cercando il loro posto nella vita”.

Lucia Pezzuto

per Il7 Magazine

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