Polizia Postale, una task force per scovare i pedofili: “Così ci immergiamo nel dark web”

BRINDISI- (Da Il7 Magazine)  Ogni giorno migliaia di video e foto pedopornografiche viaggiano in rete alimentando un mercato da milioni di euro. Il caso dell’ex prete ostunese, Francesco Legrottaglie, arrestato qualche giorno fa, è solo la punta di un iceberg che dimostra quanto sia reale il fenomeno della pedopornografia. La Polizia postale di Brindisi, diretta dal vice ispettore Walter Lombardi, tutti giorni indaga su decine di segnalazioni e profili che purtroppo, gran parte dei casi, rivelano la presenza di un pedofilo in rete. Questi soggetti che si celano dietro identità virtuali detengono, scambiano e commercializzano video e foto di minori in atteggiamenti esplicitamente sessuali. Ma talvolta gli stessi soggetti riescono anche ad avvicinare fisicamente le vittime e ad abusarne. Il compito della Polizia Postale è contrastare questo terribile fenomeno e, ancor meglio, prevenirlo. Le indagini sono tutt’altro che semplici e si muovono sui canali informatici attraverso metodologie che non tutti comprendono e  sanno utilizzare. Un modo parallelo che sfugge alla realtà.

“Le strade per introdursi in questi canali sono tante e molto dipende dal grado di cultura informatica che ha una persona- spiega il dott. Walter Lombardi- Una cosa che a molti sfugge è che internet che utilizziamo normalmente in realtà è una piccolissima parte della rete. C’è una realtà molto più vasta. E’ come se  ci trovassimo davanti ad un iceberg, noi vediamo solo la parte superiore ma in profondità c’è ben altro. Esiste, invece,  una parte di internet che si chiama dark web. Dove generalmente è permessa una navigazione anonima. Non si sa  mai dall’altra parte con chi si sta parlando perché i sistemi  permettono di nascondere le identità. E’ qui che si trova di tutto anche materiale pedopornografico che è possibile scambiare con una persona benché non la si conosca”. Il cacciatore di materiale pedopornografico si muove con cautela in rete e spesso prima di riuscire a trovare ciò che cerca va per tentativi. “L’utente medio cerca di contattare persone, altri suo simili- spiega Lombardi- Generalmente crea un profilo falso e comincia a contattare altre persone,  è lì che cerca di capire se riesce a contattare altre persone  simili a lui per scambiare materiale pedopornografico. L’impresa si fa più difficile quando poi cerca di contattare ragazzini, le potenziali vittime. In quel caso crea un profilo falso utilizzando la foto di un giovane e invia lui stesso un video o delle foto alla vittima in modo da invitarlo ad emulare il gesto”. Anche qui queste persone vanno per tentativi, talvolta il ragazzino blocca il profilo, altre volte si lascia, ingenuamente, circuire. “Anche quando il ragazzino blocca il profilo, purtroppo, nella maggior parte dei casi,  non lo dice ai genitori- dice Lombardi- e il pedofilo la fa franca. Ma se la vittima risponde con un video, il pedofilo ha due strade o lo commercializza, quindi ci fa soldi, o lo condivide con altri che hanno la stessa tendenza e che potrebbero contattarlo a loro volta”.

Il pedofilo utilizza spesso i social come facebook, instagram, whatsapp, perché è più facile contattare la gente che non si conosce e perché anche i ragazzi , seppur minori, variando la data di nascita, riescono a crearsi un profilo ed accedervi. Nonostante una serie di blocchi e filtri i social non riescono a monitorare il mondo del web e molte cose sfuggono, altre, invece, riescono a bloccare per tempo determinati giri e segnalarli alla polizia.

“Facebook è molto sensibile a queste tematiche- dice Lombardi-  ma in un minuto si collegano 6milioni di persone, queste persone metteranno delle foto e  facebook non può controllarle tutte, le controlla a campione. Ovviamente se trova delle immagini che non vanno bene, blocca il profilo e segnala alla polizia del luogo da cui dovrebbe provenire il profilo che quel profilo ha pubblicato foto pedopornografiche. A noi questa segnalazione arriva ad un ufficio della polizia postale CNCPO, Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online. Che a sua volta analizza il profilo e segnala all’ufficio di competenza . A quel punto si cominciano a monitorare le attività di quel profilo e a raccogliere tutti gli indizi”. Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online ha un ruolo fondamentale nel contrasto di questo fenomeno perché nasce proprio per difendere i ragazzi in Internet, attraverso servizi di monitoraggio per la ricerca di spazi virtuali clandestini dove si offrono immagini e filmati di minori abusati per un turpe commercio online. Più in generale il monitoraggio continuo focalizza l’attenzione sulla scoperta di siti e dinamiche che possano rappresentare fonte di pericolo nella navigazione dei più giovani. Per ciò che concerne i siti pedopornografici, la legge istitutiva individua nel Centro il punto di raccordo per la trattazione delle segnalazioni, provenienti sia da altre Forze di Polizia anche straniere, sia da cittadini, da Associazioni di volontariato e da Provider. Da tutta questa attività il Centro provvede a ricavare l’elenco dei siti pedopornografici della Rete, la cosiddetta “black list”, che viene fornito agli “Internet Service Provider” perché ne venga inibita la navigazione attraverso sistemi tecnici di filtraggio. Se navigando ci si imbatte, anche involontariamente, in uno di questi siti interdetti, appare un’apposita “stop page” , pagina di blocco, contenente l’avviso di interdizione. Contribuiscono al contrasto di questi crimini anche i sistemi nazionali bancario e finanziario, tramite la mediazione della Banca d’Italia, che consente di acquisire informazioni relative alle transazioni e alle spendite illecite sul mercato online volte all’acquisto di foto e filmati di abusi nei confronti di minori.

Purtroppo il territorio brindisino non è immune dalla presenza dei cacciatori di immagini pedopornografiche in rete. La Polizia postale di Brindisi nell’ultimo mese ne ha individuati tre per i quali sono state eseguite perquisizioni ma i casi in corso di monitoraggio sono decine.

“Su Brindisi in questo mese sono state fatte tre perquisizioni- spiega, ancora, Lombardi- quando si arriva a questo punto è perché già ci sono gravi indizi di colpevolezza. Le segnalazioni sono tante ma bisogna sempre verificarle. I reati che si commettono sono diversi e sono perseguiti anche in maniera diversa. Il reato meno pesante, si fa per dire, è la detenzione, peggio è la divulgazione di immagini pedopornografiche per la quale si rischia fino a 10 anni di carcere”. Il profilo del pedofilo della rete è variegato, può davvero essere chiunque, ma generalmente si tratta di persone adulte di età compresa tra i 40 e i 60 anni. Può essere tanto un analfabeta quanto un ingegnere. Spesso vive con i genitori o da solo. Ha poca vita sociale ed ha  una buona conoscenza informatica, perché il suo mondo sono i computer.

“Quando si parla di queste persone bisogna distinguere diversi aspetti- prosegue Lombardi-  chi va a caccia di materiale pedopornografico e basta,  chi va a caccia di adescamento e chi va a caccia di materiale per poter ricattare la vittima al fine di avere un eventuale incontro. Le vittime sono ragazzini molto piccoli. Generalmente distinguiamo tre fasce: sotto i 18 anni, sotto i 16 anni e sotto i 13 anni che è la fascia più ambita. Il materiale che troviamo è di ragazzi di 8 e 10 anni, a volte anche più piccoli. C’è stato un caso di un ragazzo di 28 anni, che ancora non mi spiego, che aveva la fidanzata ma era interessato a questo tipo di materiale. Inoltre le vittime sono tanto i maschietti quanto le femminucce. Quindi l’aspetto più grave del pedofilo, è quello di chi tenta di adescare.  Il problema è che i ragazzini non hanno la consapevolezza di distinguere il reale dal virtuale. Quando vedono un profilo non pensano che possa essere falso mentre gli adulti sono passati dal mondo reale a quello virtuale, i ragazzini nascono già nel mondo di internet. Un ragazzino di 8 anni è abituato ad avere in mano gli strumenti informatici”. La Polizia postale fa molta campagna di prevenzione nelle scuole affinché i ragazzi ma anche gli insegnanti e le famiglie siano consapevoli dei pericoli della rete.

“l nostro sforzo  più grande è andare nelle scuole e renderli consapevoli che quello che vedono su internet non è sempre vero, come i profili- dice Lombardi- Gli adescatori studiano i profili delle vittime, cercano di capire gli interessi e li circuiscono. Spesso gran parte dei profili di questi ragazzini sono aperti quindi è facile per un estraneo sbirciare. Ma è pur vero che anche noi abbiamo molti strumenti per contrastarli. Nel CNCPO una volta che arriva la segnalazione viene tutto inserito in una banca dati, ad esempio se arriva anche la segnalazione di un sito questo finisce in una black list. C’è un accordo con le compagnie telefoniche che forniscono la rete che se l’utente digita quel determinato sito segnalato non permette di entrarci. Un altro modo per trovare materiale pedopornografico è quello di digitare parole chiave all’interno di siti pornografici. Non sempre questi siti vagliano i video pubblicati. Chi fa le indagini può vedere chi scarica questi video, un pedofilo o un curioso. Molte di queste persone hanno famiglie e figli, quando succede su segnalazione di polizia postale si allertano anche  i servizi sociali per esaminare il contesto sociale così per le vittime e si verifica anche l’aspetto psicologico”.  Il lavoro di indagine svolto dalla Postale è tutt’altro che semplice, è molto articolato, richiede tempo e spesso sottopone gli agenti ad un forte stress mentale ed emotivo. Visionare filmati che vedono bambini vittime di abusi è sempre devastante anche dopo anni di servizio.

“E’ un lavoro duro anche a livello emozionale, è sempre difficile dover vedere e analizzare questi filmati- conferma Lombardi-  Ricordo ancora un caso importante Operazione GDG. Ero in servizio a Milano, la persona sulla quale indagavo era un signore per bene, un ingegnere che spesso viaggiava per lavoro all’estero e proprio all’estero lui creava dei film con minori che poi vendeva. Abbiamo dovuto visionare  migliaia di filmati, molti agenti dopo sei mesi di lavoro sono crollati. Non è facile vedere ragazzini pagati o addirittura violentati, mamme che assistono, pagate perché la disperazione è tale da vendere i propri figli.  Questi filmati creano un giro d’affari incredibile.

Chi vede questi filmati alimenta il mercato della produzione, perché se non c’è richiesta non c’è neppure l’offerta. Automaticamente anche chi detiene soltanto questi filmati non fa altro che alimentare questo mercato. Ecco perché la legge è severa anche sulla semplice detenzione”. La Postale lavora quindi sulle segnalazioni, controlla gli account e il materiale che il soggetto scarica o le intercettazioni telefoniche. Una volta acquisiti questi elementi, gravi indizi di colpevolezza, si passa alla perquisizione con gli elementi di prova.

“Su tre casi di cacciatori di immagini pedopornografiche che stiamo seguendo, due sono al di sotto dei 30 anni- puntualizza il capo della Postale-  Spesso il pedofilo è lui stesso una vittima, altre volte, invece,  si tratta di persone che non hanno vita sociale o hanno difficoltà ad approcciarsi con adulti altre ancora perché il cervello è deviato. Noi facciamo uno sforzo immane, c’è una giornata internazionale contro questi reati, la polizia postale entra nelle scuole per fare prevenzione. Ma la prevenzione la facciamo solo con i ragazzini, quando la scuola organizza un incontro con i genitori questi non vengono. La vera prevenzione si fa con le famiglie. La prima cosa è capire di non fidarsi di quello che vedono, spesso questi ragazzini non si rendono conto, al limite cancellano il contatto ma invece si trovano nei guai.

Secondo bisogna parlare, i genitori rimproverano i figli perché sono sempre sui social e i ragazzi a loro volta quando incappano in queste situazioni non dicono nulla ai genitori per paura di essere rimproverati. Quindi stanno zitti, cancellano il contatto che per noi sarebbe importante per rintracciare queste persone. Noi lo spieghiamo sempre, delle chat bisogna fare lo screen o fare un’operazione per scaricare l’url che serve per rintracciare la fonte del profilo. E’ come consegnare la targa di una macchina che ha fatto una rapina”.

La Polizia postale di Brindisi lavora a decine di casi, per alcuni sussistono gravi indizi di colpevolezza, per altri è in corso il monitoraggio. Nella sede brindisina sono in servizi cinque agenti per un bacino di utenza di circa 300mila persone. La proporzione, è evidente, non regge, il lavoro è tanto e la rete è un mondo infinito di trappole dove, purtroppo spesso le vittime sono i nostri ragazzi.

Lucia Pezzuto per Il7 Magazine

 

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